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07 apr 2020

L'epidemia ringalluzzisce il centralismo

di Luciano Caveri

Torna prepotentemente sulla scena, nel tragico scenario dell'epidemia, la solita compagnia di giro in cui si stagliano alcuni esponenti del Partito Democratico, gli stessi che cercarono con la riforma costituzionale Renzi-Boschi di triturare il regionalismo a favore di un rigurgito dal sapore autoritario di uno Stato nelle mani di Palazzo Chigi, così come sperato dal giovane principe, Matteo Renzi. Il "no" del popolo italiano alla riforma ha zittito i neocentralisti per qualche tempo, ma ora i fautori di uno Stato con Regioni semplici esecutrici di scelte prese a Roma torna in campo e non stupisce che questo avvenga in un periodo di emergenza, che è terreno fertile da sempre per scelte di questo genere. Periodo in cui, spiace ribadirlo, dal punto di vista operativo il Nord è rimasto da solo davanti alla crisi e sono stati rari, mentre l'emergenza incalzava con situazioni tragiche, i casi di reale solidarietà, specie dal Sud poco colpito, che ora invoca aiuti e prebende per evitare ribellioni popolari!

Tornando al punto politico, ha scritto Massimo Franco sul "Corriere della Sera" e cito la prima parte di questo editoriale: «Lo scontro sulla gestione della sanità sta lievitando: soprattutto tra governo nazionale e regione Lombardia. In parte era prevedibile, visti i numeri spaventosi dell'epidemia da coronavirus a nord. Ma la polemica è destinata a prolungarsi anche quando il contagio sarà stato messo sotto controllo. Per il momento, il nervosismo affiora perché ognuno è a caccia delle responsabilità altrui per i ritardi e gli errori commessi nella fase iniziale della pandemia. Tra palazzo Chigi e il governatore Attilio Fontana prosegue uno stillicidio di accuse reciproche, più o meno diplomatizzate. E il leader leghista Matteo Salvini bolla come "indegne" le critiche al sistema sanitario della Lombardia. Ma in realtà sulla vicenda si scaricano due modelli di amministrazione che ritornano in rotta di collisione. L'esplosione del virus induce settori crescenti della maggioranza a chiedere che in futuro le competenze e i poteri in materia di sanità tornino allo Stato, sottraendoli alle regioni. Soprattutto il Movimento Cinque Stelle, con Vito Crimi, chiede esplicitamente che la sanità sia restituita alla competenza statale "perché alcune regioni stanno rispondendo molto bene, altre no". Implicitamente, la richiesta suona come critica al modo in cui si è mossa la Lombardia. E fa scattare la reazione leghista. Anche perché nei giorni scorsi si sono sentite da parte del Carroccio rivendicazioni di maggiore indipendenza da "Roma". Sembra riemergere la frustrazione di realtà come Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, orfane dell'autonomia speciale che pensavano di ottenere coi referendum consultivi del 2017». Per evitare ambiguità mi sia permesso dire che più che "Autonomia speciale" si tratta di "autonomia differenziata", che è un gradino sotto la Specialità che mantiene per ora una maggior garanzia costituzionale e poteri e competenze già operanti più estesi. Ma l'aria dei tempi è esattamente quella descritta con la ex ministra Elena Boschi che rilancia la clausola di supremazia dello Stato, che spigolerebbe le Regioni si qualunque ruolo. Nella stessa linea, approfittando dell'epidemia, si rilanciano ipotesi di una Costituente e tornano nel mirino le Regioni e questo significa avere in particolare come capro espiatorio, come sempre, le Speciali e anche le Regioni ordinarie del Nord che chiedono più autonomia. Dunque Lombardia, Veneto e Piemonte, le più flagellate dal "coronavirus" e lasciate sole dal potere centrale, che pure sembra aver convinto - con le comparsate del premier Giuseppe Conte in televisione - la parte mentre accorta dell'opinione pubblica della bontà dell'azione dello Stato e del Governo. Ancora oggi incontro persone convinte di una buona gestione degli eventi del sornione premier, passato come se nulla fosse nel solco del peggior trasformismo italico da una parte all'altra dello scenario politico, contando su smemoratezza e ingenuità di chi gli crede. Il geniale Mattia Feltri lo definisce «un politico prêt-à-porter»... Io penso esattamente il contrario rispetto ai successi governativi e statali e che sono state semmai le autorità locali e la democrazia di base a cercare di evitare il peggio contro il virus e si sono arrabattate cercando soluzioni di fronte ad una Roma pasticciona e approssimativa, pur con tutti gli errori del caso anche da parte loro, come può avvenire a fronte di una pandemia inattesa. Peccati veniali contro peccati mortali. Ma trovo sia sciacallaggio quel fronte PD-Cinque Stelle che mira ad un anacronistico rigurgito centralista e rifletta Matteo Salvini che cosa abbia significato per la Lega lasciare il campo federalista a beneficio di una logica nazionalista, che certo non giova all'autonomismo e alla trasformazione dell'Italia in Stato federale, che Umberto Bossi sposò, quando nacque la Lega, seguendo il filone derivato dai contatti iniziali con l'Union Valdôtaine. Dopo la crisi sanitaria che porterà con sè una crisi economica e nuovi assetti nella società italiana e nell'Europa intera, se non nel mondo, la scelta fra concezione statalista a rischio persino di autoritarismo e quella di una democrazia radicata partendo dai territori e dalle comunità sarà il bivio di fronte al quale ci si troverà. E non si potrà tenere il piede in due scarpe.