Come molti ieri fino a tarda sera ho letto della nuova inchiesta sulle infiltrazioni mafiose in Valle d'Aosta e non mi metto certo ad aggiungere elementi che non ho. Saranno le sentenze a stabilire i colpevoli nei processi avviati ed in quelli che verranno, ma sia chiaro da quanto emerge un inequivocabile «no» alla 'ndrangheta in Valle! Scrivete "'ndrangheta" sul motore di ricerca poco sotto e vedrete quante volte ne ho scritto in questi anni non avendo mai giocato con il fuoco di un mondo oscuro e da molto tempo sono ormai in preda ad angoscia e preoccupazione per un crescendo un tempo non pensabile.
Nel 2012, ad esempio: «Non possono esistere margini d'ombra sulla presenza e sulle interazioni della 'ndrangheta in Valle d'Aosta, perciò è bene capire che cosa sia successo. Non si tratta di drammatizzare, ma semmai di avere una mappa chiara su affari e appoggi. Vedremo, a questo proposito, gli esiti della Commissione speciale del Consiglio Valle e certe audizioni con Forze dell'ordine e magistratura confermano sin da ora che non si può far finta di niente e certo e anzitutto, spetta a chi deve indagare sugli aspetti penali intervenire laddove necessario. Mio zio Severino Caveri, a metà degli anni '60, con espressioni che oggi potremmo bollare come "politicamente scorrette", denunciò in un suo articolo la "spinta" all'immigrazione calabrese voluta dall'allora segretario del Partito socialista Francesco Froio, "paracadutato" in Valle per pilotare in parte la fine della "Giunta del leone" ed il cui curriculum negli anni successivi, anche recenti, è illuminante. Quel che preoccupava mio zio, che bollare come xenofobo è ridicolo per chiunque legga l'insieme dei suoi "scritti umanisti", erano i metodi che c'erano dietro questa scelta. Il tempo gli ha dato ragione: ad una vasta immigrazione onesta e ormai integrata con cui ho rapporti di amicizia e stima da anni (lo preciso per evitare le strumentalizzazioni, magari proprio da parte di amici dei 'ndranghetisti), fa da contraltare una parte pur circoscritta che invece ha aderenze con la malavita organizzata in un'attività ormai bicefala fra Calabria e Valle d'Aosta (con legami con il resto del Nord). Far finta di niente sarebbe ridicolo e spero che prima o poi emerga - per un'elementare ragione di chiarezza - chi, nel mondo della politica, ha coltivato amicizie, cercato voti, compartecipato ad affari, creando un "ponte" pericolosissimo per il futuro della nostra comunità. Da questo punto di vista spero che si scavi nella "nuova" immigrazione, quella ancora in corso dalla Calabria in questi anni, che potrebbe aiutare in alcuni casi a mappare i link esistenti. Le numerose pubblicazioni sulle infiltrazioni mafiose in Regioni del centro-nord dimostrano come il fenomeno prima si radichi e poi si diffonda come un erba velenosa e infestante e di come, senza rapidità di risposta, gli esiti possano essere disastrosi. Specie se i metodi mafiosi finiscono per penetrare in profondità con un rischio di condizionamento delle decisioni politiche e amministrative, che poi - dovendo essere realisti - significano soldi e ancora soldi. Purtroppo sporchi». E pochi mesi fa ammonivo: «Spero davvero che non si finisca per dover imparare, nella società valdostana, modi di dire della criminalità organizzata. Ma soprattutto che non si debba piangere sulla drammatica circostanza che certe piovre hanno finito per avvolgere e macchiare la nostra realtà alpina con la complicità di chi finisce per essere un sicario le cui azioni colpiranno a morte la nostra Autonomia. Perché di questo si tratta: essendo che se lo Statuto d'autonomia speciale esprime dei diritti - sotto la forma di poteri e competenze - ciò implica ovviamente i doveri cui attenersi per esserne degni. Altrimenti - è un fatto elementare a fronte di una Autonomia octroyé, cioè concessa - i meccanismi costituzionali in mano al Parlamento italiano possono togliere ciò che la Costituente diede nel lontano 1948 con il facile pretesto di una sorta di indegnità. Ecco perché bisogna tenere bene a mente l'espressione "bacio della morte", vale a dire, nel gergo della mafia, quello che il capo di una cosca dà sulla guancia al sicario incaricato di eseguire una sentenza di morte. Il sicario è chi, colluso con i malavitosi, riceve il bacio come attestato di un patto di sangue che porta alla morte, in questo caso non di una persona, ma di un ordinamento giuridico che fonda una costruzione istituzionale e politica. Il bacio torna nelle presenze fra sacro e profano e viene in mente quella Madonna di Polsi - la Madonna della Montagna la cui reliquia viene coperta di baci - con il suo santuario sull'Aspromonte esibita ad Aosta nel corso della sfilata di San Grato del 7 settembre. Scrive "Linkiesta" con Francesca Chirico: «A Polsi, insomma, ci sta pure la 'ndrangheta, "devota" nel suo modo distorto, avendo eletto il santuario, racchiuso nel territorio comunale di San Luca, simbolo e fonte di legittimazione e consenso. Una presenza datata e puntuale, la sua. La documentano, a partire dagli anni Quaranta, fonti giudiziarie e letterarie, con la descrizione dettagliata dell'"assemblea" delle cosche durante la festa di settembre. E la denunciano inquietanti fatti di cronaca come l'omicidio dell'economo di Polsi, don Giuseppe Giovinazzo, ammazzato a colpi di fucile e pistola il 1° giugno 1989 mentre faceva rientro a Locri. Ma della 'ndrangheta nel santuario la Chiesa locale non si è data, ufficialmente, eccessiva preoccupazione, bollando le riunioni dei boss come vecchie tradizioni folkloristiche o frutto di sensazionalismo mediatico. Fino alla brutale verità del filmato del 2009. "Cari fratelli, se anche oggi ci saranno incontri e patti illegali, del tipo di quelli che hanno intercettato l'anno scorso le Forze dell'ordine, a noi poco importa. Sono cose che non ci riguardano. A noi interessa contemplare il volto materno di Maria", scandì l'anno successivo, dal santuario, il vescovo della diocesi di Locri-Gerace, Giuseppe Fiorini Morosini». E più avanti: «La prossimità di sacro e 'ndrine non è un'esclusiva del santuario aspromontano. La 'ndrangheta è spesso davanti all'altare: a trafugare simboli, riti e figure da imbrattare nelle sue cerimonie di affiliazione, a mescolarsi nelle processioni, mettendosi in spalla Santi e Madonne, a organizzare feste patronali». Questo per situare un problema che riguarda quella parte "malata" dell'immigrazione calabrese ben nota agli inquirenti, che "nuota" in un mare fatto di complicità (compresa l'indifferenza) e questo riguarda purtroppo chi, con ruoli di responsabilità, ha giocato anche in ambienti opachi alla ricerca di voti "facili", perché spinti da chi ha potere per farlo e dunque di fatto voti non liberi, se non persino acquistati con soldi o favori. Ma la cosa peggiore è chi, concorrendo per ruoli elettivi, si lega per il futuro con evidenti logiche luciferine di do ut dese si è parlato persino di momenti in Calabria di vera e propria affiliazione a rendere il tradimento di questi sicari dell'Autonomia ancora più terribile, una vera e propria abiura di valori e di idee». Niente da aggiungere se non che oltre alle responsabilità penali ci sono quelle morali.