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13 mag 2019

Ci mancavano gli antinatalisti...

di Luciano Caveri

Ci sono giorni in cui mi domando dove stiamo andando nel momento in cui si passa dalla follia personale alla follia collettiva sotto vesti sempre nuove. Tema certo non nuovo nella storia umana: dalle sette multiformi ai popoli osannanti dittatori sanguinari, dagli integralismi religiosi alle associazioni per delinquere, dalle mafie alle società segrete deviate, dai "complottisti" ai creatori di "fake news", dai "satanisti" ai "terrapiattisti". Esiste un lato oscuro, ulteriormente declinabile in sottospecie di congreghe del male, spesso ammantate da quelli che vengono proclamati come nobili principi. Oggi ero indeciso nella scelta di mettere sul vetrino del microscopio fra gli "animalisti vegani specisti" che hanno picchiato in Francia un macellaio, reo di essere «un assassino di animali», o la notizia dei giovani "antinatalisti" che si sterilizzano per non avere figli nel nome di una nuova fede, che dimostra - se mai ce ne fosse stato bisogno - di come certi pensieri oscuri alberghino in un ambientalismo distorto e da bandire.

Mi sono deciso per questi ultimi, ultima spiaggia di questa idea, che è uno spettro che si agita in tutti coloro che considerano l'Uomo un intruso nella Natura con diversi livelli di gradazione, fino all'idea balzana che esista una Natura che deve persino prescindere dalla presenza umana! Uno dei guru è tal David Benatar, professore di filosofia e direttore del Dipartimento di filosofia presso l'Università di Città del Capo, in Sudafrica. Racconta un'inchiesta del sito "Linkedin", partendo dal suo libro, "Better never to have been" ("Meglio non essere mai nati"): «La prima frase dell'introduzione non lascia scampo, prima ti fa prudere le mani, poi agisce sul cervello. "Ognuno di noi ha subìto un oltraggio nel momento in cui è stato messo al mondo. E non si tratta di un oltraggio da poco poiché anche la qualità delle vite migliori è pessima e notevolmente peggiore di quanto riconosca la maggior parte delle persone". Il libro, il caposaldo dell'antinatalismo, procede per capitoli che non lasciano spazio a dubbi ("Perché venire al mondo è sempre un male"; "Estinzione"; "Risposta all'ottimista"; "Morte e suicidio"), per giungere alla soluzione: almeno, visto che la vita è male, non fate figli». Ecco da dove prende spunto, con sviluppi ulteriori in questa vena di stranezza mortifera, il filone degli "antinatalisti", che culmina con un tizio, tale Raphael Samuel, un giovane indiano che chiede, tramite le vie legali, un "risarcimento" dai suoi genitori per «averlo messo al mondo senza il suo consenso». Aggiunge, pur descrivendo la propria famiglia come «estremamente amorevole», che la procreazione è «un'attività profondamente egoista», diretta esclusivamente «a scaraventare in mezzo agli affanni della vita il feto, il quale in teoria avrebbe il sacrosanto diritto di rimanere lontano da tali preoccupazioni». Samuel ha poi asserito che mettere al mondo figli sarebbe una vera e propria «condanna inflitta a degli innocenti» e che ogni coppia coniugale del mondo dovrebbe essere «chiamata a rendere conto davanti a un giudice per il "crimine" in questione». Ora che gente così decida di non procreare - tenendo conto del "darwinismo" - potrebbe avere anche un suo vantaggio visto che esauriranno il loro filone, ma l'aspetto deteriore è che esiste un proselitismo che dovrebbe essere combattuto, perché la libertà d'opinione può nuocere gravemente, quando c'è chi diffonde baggianate che piano piano - come segnalato con la storia del macellaio malmenato - armano la mano dei violenti. Fa venire i brividi leggere l'inizio di un articolo pubblicato sull'inserto "Donna" de "La Repubblica", firmato da Mara Accettura: «Se domani ci fosse l'apocalisse e tu fossi l'ultima donna sulla terra che incontra l'ultimo uomo la ripopoleresti? Leiah, infermiera di Sydney, non è affatto sicura. "Se fossi l'ultima donna mi godrei gli ultimi giorni con mio marito e cercherei di non fare figli. Darei alla Terra una chance per riprendersi. Siamo diventati una specie troppo invasiva, ci crediamo anche superiori alle altre. Siamo intelligenti, certo, ma con quella stessa intelligenza stiamo distruggendo il pianeta". La sua voce non è unica. "Dovremmo smettere tutti di riprodurci, e morire come specie. Mi sono sempre assicurato che le mie partner non volessero figli. Mia moglie si era sterilizzata prima che ci incontrassimo e io ho fatto una vasectomia un po' prima dei trent'anni", dice Joe, quarant'anni, economista di Everett, Washington. "In uno scenario del genere saccheggerei farmacie e supermercati ma non sentirei assolutamente il bisogno di tramandare i miei geni", dice Ivan, magazziniere di Scranton, Pennsylvania. Abbiamo sottoposto questa provocazione demografica ad una serie di persone che popolano la pagina "Facebook" di "Vhemt", il "Voluntary human extinction movement", circa diecimila iscritti, al motto di: "Possiamo vivere a lungo e poi estinguerci". Pronunciato "veement", "Vhemt" è un movimento filosofico internazionale di persone che credono sia arrivato il momento di smettere di fare figli. La frangia più estrema si spinge oltre: è convinta che costringere qualcuno a nascere sia ecologicamente e moralmente sbagliato e che l'unica strada possibile sia l'estinzione di massa. Secondo loro il pianeta è avvelenato dalla nostra presenza, ma non solo "Vhemt" fa proseliti soprattutto nel mondo anglosassone. Nel Regno Unito c'è "Population Matters", organizzazione che si batte per il controllo procreativo, patrocinata dal documentarista David Attenborough, dallo scienziato James Lovelock - non a caso ambedue ultranovantenni - e dalla pilota vegana Leilani Munter, che corre con la sua "Tesla" per difendere i diritti degli animali e la cultura veg». Tutto si lega in questo mondo alla rovescia. Mi viene in mente un punto di un editoriale di Eugenio Scalfari, che osservava domenica scorsa quanto segue sulla specificità che gli antispecisti sembrano non cogliere: «La cultura insomma è il vero attributo che distingue la nostra specie dagli animali. Con gli animali abbiamo in comune l'istinto, ma il nostro è un istinto che si trasforma in sentimenti e soprattutto in pensiero il quale, se dovete studiarlo a fondo, ha come maggiore attività e distinzione, il pensare a sé stessi. Potrà sembrare singolare questa affermazione, ma se bene riflettete il pensiero non può che pensar sé stesso e chi lo governa. L'ho scritto in varie occasioni, ma debbo ripeterlo ancora una volta: il pensiero pensa sé stesso perché nella nostra specie esiste l'Io. Nel genere animale non esiste l'Io, nella specie umana è l'Io che ci governa. L'Io cambia spesso e quando cambia lui cambiamo anche noi perché l'Io è noi e noi siamo il nostro Io, il che significa che l'Io è l'uomo che si è evoluto dal genere animalesco e supera l'istinto attraverso il pensiero». Spero che qualcuno - non un essere umano, naturalmente, che faccia da portavoce - mi risponda dal quel sedicente Mondo naturale epurato dalla presenza umana attraverso certe fantasie malate. E non mi si dica che è questo è antropocentrismo specista!