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20 mag 2019

L'istinto di conservazione di certi politici

di Luciano Caveri

Il mondo della politica - per chi ci ha lavorato per anni con cariche elettive di vario genere - è un mondo interessante, ma pieno di insidie per chi ci si trova, se non tiene i piedi per terra. Oltretutto - basta guardare statue, cippi, vie e piazze in una città come Aosta - un tempo esisteva una sorta di riconoscimento popolare per chi avesse svolto con onore ruoli pubblici. Oggi si finisce tutti nello stesso mazzo senza distinzioni, e sembra quasi ci si debba vergognare anche quando la propria coscienza (e fedina penale) è pulita. Non lo dico con vittimismo, ma come semplice osservazione scientifica. Per altro se cerchi "Politica" trovi più citazioni irriverenti che serie. Da «Gli uomini politici sono uguali dappertutto. Promettono di costruire un ponte anche dove non c'è un fiume» di Nikita Chrušcëv (politico sovietico di lungo corso) a «Ci sono degli uomini politici, che sarebbe bene chiamare politicanti, i quali, se avessero come elettori dei cannibali, prometterebbero loro missionari per cena» di Henry Louis Mencken (giornalista americano).

Meglio citazioni come queste: «I pensatori della politica si dividono generalmente in due categorie: gli utopisti con la testa fra le nuvole, e i realisti con i piedi nel fango» del celebre George Orwell oppure il «Non abbiamo bisogno di chissà quali grandi cose o chissà quali grandi uomini. Abbiamo solo bisogno di più gente onesta» dell'altrettanto famoso Benedetto Croce. Ormai, con franchezza, quest'ultima definizione - tagliati estremisti e oltranzisti - mi convince, anche se poi, almeno nel caso valdostano, credo che ci siano elementi politici originali che connotano la politica autonomista, anche se "Autonomismo" ormai è una galassia con pianeti non sempre compatibili fra di loro. Quel che oggi colpisce di più è la ricerca di formule di governabilità a fronte di maggioranze incerte e litigiose. Basta guardare cosa avviene a Roma e cosa avviene ad Aosta. Si tratta di un male profondo della democrazia parlamentare su cui bisogna riflettere e non è solo questione di numeri ma di atteggiamenti. Per dire: esiste un problema di funzionamento e di credibilità dei partiti, spesso ridotti a semplici macchine per le elezioni; c'è una questione morale che resta sempre viva con persone squalificate che escono dalla porta e rientrano dalla finestra; c'è una scarsa serietà nel rispettare la volontà degli elettori al momento del voto; c'è una tendenza a tirare la corda di Legislature ormai molte e sepolte in un sostanziale immobilismo. Penso che questi fattori siano visibili e lo si osserva proprio nella politica romana e valdostana, dove certe paralisi dovrebbero essere realisticamente superate dal ricorso alle urne, anche se poi non è detto che i meccanismi elettorali sortiscano quelle maggioranze stabili che necessitano, perché - come dicevo - non è solo una questione di numeri e non è neppure una questioni di "contratti", che è l'ultima stranezza extraparlamentare nel tentativo, pure di nobile, di mettere assieme mele e pere, cioè visioni troppo diverse su problemi capitali. In questo bisogna fare i conti con l'istinto di conservazione o, se preferite, con lo spirito di sopravvivenza degli eletti. Quando sono stato deputato, ho vissuto due Legislature complete di cinque anni e due più della metà della durata naturale. Sarei ipocrita nel dire che quando ci furono quelle interrotte per crisi politiche fossi contento di trovarmi con il baratro di un "fine mandato", quando non sai bene cosa capiterà. In questo personalmente sono sempre stato soccorso - e trovo che non sia banale - da un lavoro alle spalle che non tutti hanno e chi non ce l'ha, a maggior ragione, si preoccupa di ritrovarsi a piedi, quando la politica - cosa negativa - è la sola professione. Eppure questa umanissima preoccupazione, che in Valle d'Aosta si incrocia per alcuni con il limite di mandati ormai sancito dalla legge regionale anche per i consiglieri con i tre mandati consecutivi con retroattività e poi lo "stop", non può alimentare questa logica di sopravvivenza costi quel che costi. Uno dei capisaldi della democrazia resta il fatto che, quando mancano maggioranze certe e la situazione diventa troppo confusa, tocca dare la parola ai cittadini, pur sapendo che non sempre il voto popolare scioglie i nodi. Ma l'impressione di essere incollati alle sedie - e di giustificazioni anche nobili se ne possono trovare molte per farlo - non è granché ed alimenta quel degrado dell'immagine della politica e dei politici, che sconta anche il cumulo di vicende giudiziarie che appaiono e scompaiono negli ingranaggi farraginosi della giustizia italiana.