Quel che scrivo quest'oggi lo scrivo sommessamente e dispiaciuto, senza alcuna intenzione di dare lezioni a chicchessia. Parto dalla constatazione - già dato di fatto per il più grande partito valdostano, gli astensionisti - che ogni tanto cresce la tentazione, che ha appunto colpito molti nell'esercizio dei propri doveri in democrazia, di convincersi che è legittimo non occuparsene più, sapendo che - per chi decidesse di "sospendersi" dalla politica, dall'impegno civico, dalla cittadinanza attiva - non esiste sanzione. Se non che poi, ovviamente, non ci si può lamentare di quanto avviene, quando si sceglie la strada dell'Aventino, quel colle di Roma sul quale si ritirò la plebe in protesta contro le prepotenze dei patrizi, in epoca repubblicana a.C..
Espressione poi ripresa nel 1924, quando dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti, seguita alle sue denunce di brogli elettorali, le opposizioni parlamentari al governo fascista proclamarono l'impossibilità di riprendere i lavori alla Camera dei Deputati, finché non fosse venuta a galla la verità sulla scomparsa di Matteotti. I parlamentari dell'opposizione, decisi ad abbandonare i lavori, si riunirono quindi in un'altra sala di Montecitorio, che da quel momento passò alla storia come "sala dell'Aventino". La protesta sfociò però in un insuccesso ed il re confermò la fiducia a Benito Mussolini ed al fascismo e ciò ammonisce sulle scelte da prendere in Politica per evitare cantonate. "Cambiamento" è una parola buona per tutte le stagioni, ma mai come in questi anni risulta essere assurta come paravento a molte verità d'altro segno. Una sorta di "sol dell'avvenire" multiuso, come il famoso coltellino svizzero "Victorinox". Così in politica avviene come in certi balli medioevali dove ci si scambia la propria ballerina all'ordine «Changez la dame» e lo si fa senza troppi scrupoli, ma additando - specie in Politica e lo scrivo senza scandalizzarmi del suo uso, semmai ne lamento l'abuso - il "cambiamento" come nobile motivazione contro l'immutabilità e la staticità. Il diavolo ci mette lo zampino quando nel dizionario dei sinonimi e dei contrari viene indicata, come uno dei possibili contrari della parola "cambiamento", la... "coerenza", naturalmente ritenuta all'estremo opposto del tutto assente. Per altro il dato più eclatante di questi anni è la totale distonia fra annunci ed alleanze prima delle elezioni su cui votano e scelgono i cittadini e il dopo, quando le mani sono considerate nuovamente libere nella ricerca di alleanze nel nome del bene comune e del prezzemolino "cambiamento". Eppure la "Treccani" indica proprio la pluralità del suo uso: "cambiamento di casa, di stagione, di temperatura, fare un cambiamento, un gran cambiamento, specie nelle abitudini, nel carattere e simili". Se le assemblee parlamentari diventano spettacolo teatrale e ormai da "social", vale di certo il "colpo di scena" o meglio il "coup de théatre". La "Treccani", con malizia involontaria, mette vicino il cambiamento "di indirizzo politico" con il cambiamento "di mano", che nella circolazione stradale è lo spostarsi di veicoli o persone da un lato all'altro della via, che però somiglia troppo al "colpo di mano", che sarebbe "lotta per il potere, sottintende spesso un'organizzazione dall'interno, da parte di persone insospettabili". Vien da pensare ai propri alleati di governo, per dire, con cui si sono fatti accordi che saltano come le rane, secondo le necessità. La realtà è che in sociologia si parla di cambiamenti sociali e culturali e, fra quelli che influenzano la Politica, c'è la tendenza al "ribaltonismo", neologismo che viene da "ribaltone", da considerarsi ormai da da almeno venticinque anni patrimonio della politica valdostana. Erede in Italia del trasformismo che domina la scena dai tempi dell'Unità, ma esisteva già anche prima nel cuore degli Staterelli precedenti come dimostrato dalle alleanze cangianti fra di loro e con gli Stati europei alleati a corrente alternata, secondo le convenienze. Resta freschissimo anche nell'attuale Repubblica la celebre espressione di Francesco Guicciardini, usata a cavallo fra Quattrocento e Cinquecento, «o Franza o Spagna, purché se magna». Ci si può scherzare sopra e, di fronte ai problemi concreti da superare, certe storie di amicizia e inimicizia, di "nuovismo" più vecchio del vecchio, di miserie e interessi, di ambizioni rampanti e semplice stupidità possono passare in fretta dal campo della commedia brillante alla tetra tragedia. Perché mentre molto si svolge ormai sul palcoscenico digitale, divenuto fattore davvero nuovo, languono questioni complesse, crescono le difficoltà, aumentano i disagi, spesso creati dal peggior cancro in giro: l'incapacità, nutrita dall'idea bislacca che ognuno intellettualmente conti "uno", in un egualitarismo da strapazzo, sicché ormai si potrebbe tirare a sorte chiunque per le cariche più alte e le responsabilità più difficili. Sarebbe interessante che ciò avvenisse quando siamo sul tavolo operatorio ed il chirurgo fosse uno che fa il lattoniere nella vita o, al contrario, che facessimo fare l'impianto elettrico di casa ad una suonatrice d'arpa scelta dal caso. Insomma: nulla è facile in queste cose, ma l'unica certezza è quanto sia semplice contribuire al degrado crescente delle Istituzioni ed alla sfiducia popolare in esse. E quanto sia indispensabile garantire periodi di stabilità di governo per ampia volontà, come dovrebbe essere in Valle d'Aosta, stretta in vicende importanti come la crisi del "Casinò de la Vallée", colpito ora da una richiesta di fallimento, che non è certo una soluzione.