Non sono francamente in grado, in questo ultimo miglio di campagna elettorale per le Politiche, che è poi in verità una maratona, se si pensa all'immediato susseguirsi in Valle d'Aosta delle elezioni regionali, di giudicare quale sia esattamente il livello di coinvolgimento, attuale e futuro, dei cittadini nelle campagne elettorali. Quando ero molto addentro a queste cose, non avevo un'esatta percezione della situazione: esiste ancora, purtroppo, una tendenza ad evitare il "franc-parler" con chi è un eletto o con chi si ritiene che sia ancora in qualche modo un addetto ai lavori. Questa distonia fra il "percepito" e la "realtà" rischia talvolta di creare visioni sbagliate. Quel che è certo - e più ci si allontana da un proprio coinvolgimento diretto nelle operazioni pre-elettorali - è l'esistenza di fossato crescente con la politica o meglio con i politici percepiti come un elemento distante, se non addirittura ostile o da osteggiare.
Pur sapendo che la Svizzera è rispetto alla politica un mondo ben più felpato dell'Italia, leggevo sul quotidiano ticinese "La Regione" un intervento dello storico e intellettuale Andrea Ghiringhelli. Esemplare l'attacco: «La gestione della cosa pubblica, della polis, ci tocca tutti e mi pare più che opportuno, direi addirittura necessario, riflettere, qui come altrove, sulla qualità dei nostri politici. L'esercizio non è dei più semplici perché la sfiducia nella classe dirigente è crescente e il giudizio negativo appare piuttosto scontato. La voglia di democrazia diretta, che scavalca ogni rappresentanza intermedia, è una conseguenza dell'opinione diffusa che i politici non rappresentano più i cittadini: anteporrebbero la convenienza personale e gli interessi particolari al perseguimento del bene collettivo. Sono questi gli argomenti forti (con qualche fondamento) del populismo, e sta qui una delle cause della profonda crisi del modello di democrazia rappresentativa». Sottoscrivo e condivido anche la parte successiva: «Il discredito incontestabile della politica ha generato il discredito della classe politica. Sarebbe ingiusto generalizzare e dimenticare i bravi politici, ma sono pochi e purtroppo gli esempi di incompetenza e di mala gestione abbondano e i cittadini assistono allo spettacolo: è comunque necessario distinguere fra i politici veri - quelli consapevoli del loro ruolo di responsabilità collettiva - e i politicanti che la politica la usano, senza capacità e attitudini, per perseguire ambizioni e vantaggi personali. Sono loro, i politicanti, ad alimentare la famosa "politique politicienne", cioè la politica per i politici e non per i cittadini. Negli ultimi tempi anche il Ticino politico si è sforzato, riuscendoci, di dare qualche cattivo esempio: in più di un caso si è avuta la sgradevole impressione che la doverosa assunzione di responsabilità di fronte ai cittadini, al di là dei proclami di circostanza, non sia la priorità per una fetta cospicua della politica e infatti coloro che parlano di etica pubblica non sono particolarmente graditi. Quello della classe politica è un problema delicato ed oggi, al cospetto di certe indecorose sceneggiate in corso d'opera un po' ovunque, è piuttosto complicato non dico promuovere la "virtù dei migliori", ma perlomeno salvaguardare la decenza e la dignità della politica. Oggi, per ammissione di tanti, è il tempo della mediocrità eletta a virtù, e i "migliori" scarseggiano». E' un'osservazione questa largamente condivisa da molti osservatori ed è un vulnus verso la credibilità della politica e cavallo di battaglia dell'antipolitica. Aggiunge Ghiringhelli: «Luigi Sturzo, a cavallo degli anni 50 del secolo passato, osservava che son troppi coloro che pensano che la politica sia un'arte che si esercita senza preparazione adeguata; un suo illustre contemporaneo, Luigi Einaudi - economista di fama, presidente della Repubblica italiana dal 1948 al 1955 -, la pensava allo stesso modo; alludendo ai suoi colleghi politici constatava che molti ritengono di risolvere i problemi senza alcuna conoscenza: "Come si può deliberare senza conoscere?" si domandava. Certo è che la schiera di coloro che decidono e promettono senza una accurata conoscenza dei dossier resta nutrita e in alcuni ambienti del populismo imperante l'ignoranza è addirittura esaltata come una virtù. L'ignoranza di taluni politici si basa sulla inconsapevolezza dei propri limiti, su una falsa conoscenza fondata prevalentemente su radicati pregiudizi che portano a conclusioni errate per manifesta incompetenza: in genere, il conto, poi, lo pagano i cittadini. Non a caso un famoso storico anglosassone, constatando l'imperizia di tanti governanti, li invitava a rimediare alle vistose lacune di preparazione con periodici seminari sul senso delle istituzioni e della nostra storia: una volta c'erano perlomeno le scuole di politica promosse dai partiti che aiutavano e informavano, erano di parte ma servivano». Taglio una parte più "svizzera" e passo alle conclusioni: «"Che guaio i politici senza cultura" scriveva Eugenio Scalfari qualche anno fa, e constatava che la mancanza di cultura politica ha pesanti conseguenze: genera un appiattimento sul presente che è un atteggiamento assai comune e ad essere esaltata è la politica della povertà argomentativa, del decisionismo semplificatore che evita di stimolare lo spirito critico del cittadino. Al contrario, la cultura politica è fatta di senso della storia, di competenze e capacità, di un'etica pubblica che concepisce l'attività politica come servizio alla collettività. Grazie a una buona cultura politica il politico acquisisce la consapevolezza della complessità dei problemi che deve affrontare. A questo proposito parliamo appunto della cultura politica quale premessa indispensabile per decodificare il mondo in cui viviamo e scansare le semplificazioni demagogiche e i facili pregiudizi che non pongono domande e non chiedono verifiche. (...) Le conseguenze della povertà argomentativa appiattita sul presente diventano pesanti quando si affrontano i veri nodi insoluti della nostra società: come la questione della crescente diseguaglianza sociale e dello sgretolamento del welfare che una certa politica molto in auge riconduce all'invasione degli stranieri che ruberebbero fette di benessere ai cittadini europei. E poi vi è il problema dei problemi, quello dei migranti e dell'immigrazione che la politica, intrisa di pregiudizi e di paure, sta gestendo con un atteggiamento sconcertante. Stiamo ricordando in questi giorni il terribile dramma dell'Olocausto e sono in tanti a ripetere "mai più", ma intanto un altro spaventoso Olocausto si sta consumando nella più completa indifferenza. (…) Certo è che forse mai come oggi occorrerebbe che la politica ritrovasse lo spessore della cultura e i politici recuperassero il legame con gli intellettuali: ma la demagogia e il populismo imperano, e gli intellettuali, non tutti per fortuna, tacciono. Un colto interlocutore qualche tempo fa ha replicato asserendo che compito dell'intellettuale è fare bene il proprio lavoro: può darsi, ma può essere un tentativo di giustificazione del disimpegno nei confronti della realtà, di un pavido conformismo che sfocia nell'indifferenza. Andrea Camilleri, a tal proposito, sostiene che una volta c'era l'impegno, poi il non impegno, e ora un terzo livello, l'indifferenza: è grave, perché la funzione dell'intellettuale è di partecipare e dare il suo contributo come cittadino alla vita politica». Già, i cittadini: sono loro il vero motore che può muovere le cose, volendolo fare...