A casa mia, oltre alla sempre presente "La Stampa", entravano quando ero bambino "L'Espresso" - che mio padre conservava in un armadio - ed anche due settimanali popolari, "Oggi" e "Gente". Era lì che leggevo - essendo sempre stato un lettore onnivoro - quello che oggi viene chiamato "gossip" e cioè la cronaca rosa di un livello un pochino meno basso di altre pubblicazioni. Anche prima che aprissi gli occhi sul mondo avevo capito che ai produttori cinematografici piacevano le attrici ed anche a vista d'occhio c'era qualcosa che strideva fra donne bellissime che si accompagnavano a dei bruttoni, che le esibivano come trofei di guerra. Crescendo ho avuto in questo senso un mare di conferme sia negli ambienti televisivi, dove delle imbranate con il moroso giusto finivano in video, per non dire di soubrettine che gli aiutini li ottenevano - e quando ero deputato a Roma ne ho viste di storie così - da politici racchi che diventavano aitanti perché capaci di fare la segnalazione giusta.
Questo per dire che certe vicende del famoso e schifoso produttore di Hollywood, Harvey Weinstein, non stupiscono nessuno. Questo non attenua di un millimetro le sue gravi responsabilità: di avere approfittato - ed è un reato - della sua posizione di potere per saltare addosso alle attrici che si presentavano al suo cospetto. Che ci fosse un evidente "do ut des" è del tutto chiaro e su questo credo che nessuno abbia da eccepire. Sono contento, come uomo che mai ha aggredito neanche con un dito una donna e non ha mai approfittato dei suoi ruoli pubblici per esercitare qualunque forma di profferta o violenza sessuale, che certe storie emergano. Anche se non si può non rimarcare che per decenni questa persona, come molti altri casi che oggi diventano pubblici sull'onda dei fatti, hanno agito indisturbati, malgrado ci fosse ben più di un venticello che dimostrava che le loro azioni fossero ben note.
Una delle protagoniste delle rivelazioni a scoppio ritardato è stata Asia Argento, attrice figlia d'arte, che in queste ore ha annunciato che vivrà fuori dall'Italia perché vittima sui "social" soprattutto di donne che, al posto di solidarizzare per certe violenze subite dal produttore statunitense quando era in età giovanile (per poi aggiungere altri casi egualmente subiti), hanno segnalato che sarebbe stata più credibile se avesse denunciato stupri e ricatti subito dopo gli avvenimenti e non decenni dopo. Io credo che la Argento faccia male ad andarsene e trovo che le sue denunce - che nulla hanno a che fare con la sua vita "spericolata", come qualcuno insinua - abbiano comunque il valore di segnalare, affinché scompaiano, costumi diffusi nel mondo dello spettacolo.
Penso in particolare agli Stati Uniti, dove ci sono casi clamorosi di una morale persino bigotta a corrente alternata. La logica sembra essere: se non si sa e dunque in segreto si può agire male, come dimostra la saga dei Kennedy su cui si scopre sempre qualche nuovo scandaletto sulla loro doppia vita e la doppia morale pubblica e privata ogni anno che passa, con evidente distonia fra il mito e la realtà. Però non ha neppure torto chi, senza acrimonia o gelosie, segnali come sia bene di fronte alla violenza maschile non piegarsi, anche se ci sono poi mille circostanze attenuanti fatte di paura o anche del rischio - ben visibile in Italia - di una Giustizia che non sempre capisce la dinamica di avvenimenti con vittime colpevolizzate anche in Tribunale.
Eppure, in una società civile e avanzata, questa storia dei diritti della donna è un fatto essenziale e non lo dico solo rispetto a vicende squallide come quelle di cui ho appena scritto. Ma lo segnalo anche rispetto ad episodi ancora più terribili, come la quotidiana scia di sangue di donne uccise da mariti, fidanzati, persino sconosciuti in una sorta di follia crescente, cui non si capisce bene come reagire, perché non è solo un fatto legittimo di inasprimento delle pene. Ha scritto Dacia Maraini, una delle donne che più ha scritto con pacatezza di certi temi, su "La Stampa" qualche settimana fa: «Stupri, violenze, femminicidi? Tutte reazioni all'emancipazione femminile: più le donne diventano libere e autonome, più provocano reazioni violente negli uomini che identificano la loro virilità nel possesso, nel dominio, nel potere.
C'è stato un rivolgimento dei ruoli della famiglia, la famiglia è cambiata, le donne hanno acquistato la capacità di scegliere per se stesse, di decidere della propria vita. Questo per molti uomini è insopportabile, diventano matti. Sono uomini apparentemente normali, bravi ragazzi, padri di famiglia, ma non reggono alla perdita del privilegio, del potere. Non reggono allo smacco, alla sconfitta. Non si uccide per amore, si uccide quando si perde qualcosa e non si sopporta di averla perduta».
E così conclude la Maraini: «Lo stupro poi è l'atto di violenza estremo. Simbolicamente è l'aggressione verso la sacralità del ventre della donna, dove nasce la vita, dove nasce il futuro».
C'è quel finale terribile del monologo di Franca Rame in cui racconta lo stupro subito a 44 anni, in un'azione governata dall'alto e compiuta da cinque esponenti dell'estrema destra (reato prescritto...), che così recita: «Tengo con la mano destra la giacca chiusa sui seni scoperti. E' quasi scuro. Dove sono? Al parco. Mi sento male... nel senso che mi sento svenire... non solo per il dolore fisico in tutto il corpo, ma per lo schifo... per l'umiliazione... per le mille sputate che ho ricevuto nel cervello... per lo sperma che mi sento uscire. Appoggio la testa a un albero... mi fanno male anche i capelli... me li tiravano per tenermi ferma la testa. Mi passo la mano sulla faccia... è sporca di sangue. Alzo il collo della giacca.
Cammino... cammino non so per quanto tempo. Senza accorgermi, mi trovo davanti alla Questura. Appoggiata al muro del palazzo di fronte, la sto a guardare per un bel pezzo. Penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora... Sento le loro domande. Vedo le loro facce... i loro mezzi sorrisi... Penso e ci ripenso... Poi mi decido...
Torno a casa... torno a casa... Li denuncerò domani».