A cadenza periodica in Italia, direi sin da prima dell'Unità d'Italia, si aprono e si chiudono in fretta le speranze di fare dell'Italia uno Stato federale, anzi il centralismo esplicito e quello camuffato svettano come non mai nel presente. L'esempio più recente di tomba vera e propria del "regionalismo" - figurarsi del "federalismo"! - sarebbe stata la riforma costituzionale Renzi-Boschi bocciata dai cittadini al referendum confermativo. Ma da allora ad oggi non si è assistito a nessuna riapertura reale sull'assetto istituzionale. Gli unici barlumi - apparenti come cercherò di dimostrare - derivano da due diverse strade intraprese da Regioni a Statuto ordinario per allargare i propri spazi di autogoverno e anche, implicitamente, per ritoccare il riparto fiscale con lo Stato a loro vantaggio.
Tutte e tre le Regioni - Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna - attraverso i loro presidenti, che sono rispettivamente Roberto Maroni, Luca Zaia e Stefano Bonaccini hanno sempre detto di essere per l'abolizione delle Regioni autonome. Ovvio paradosso quello di pretendere più autonomia - come negarla? - ma nel frattempo ridimensionando poteri e competenze di chi maggior autonomia ce l'ha già! Il cammino della Lombardia e del Veneto parte domenica prossima con il contemporaneo referendum sull'autonomia. Sono referendum legali (a differenza dello "strappo" catalano con Madrid), organizzati con l'accordo del Governo proprio per la loro effettiva innocuità e con lo scopo di avviare una procedura prevista dalla Costituzione con la quale le Regioni possono chiedere maggiore autonomia nella gestione delle proprie risorse. Si tratta - io c'ero alla Camera a discuterne sin dal primo all'ultimo minuto senza perdere un passaggio d'aula e di Commissione - del comma tre dell'articolo 116, che qui riporto per maggior comprensione: "Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano. Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata". Le materie di cui alle lettere "n" ed "s" sono: norme generali sull'istruzione e tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. Non molto, insomma, ed in più le procedure per arrivarci sono, come si vede in fondo alla norma costituzionale, abbastanza complesse, compreso il fatto che non si capisce bene come si ottenga la prevista "intesa". La lettura comunque conferma una banalità: i referendum sono consultivi e dunque non avranno esiti vincolanti né per le due Regioni né per il Governo centrale, visto che in realtà - con due quesiti diversi ma sovrapponibili nella ratio - a cittadini di Veneto e Lombardia sarà chiesto se vogliono che la loro Giunta regionale faccia richiesta allo Stato di avere maggiore autonomia tramite la appena citata procedura prevista dalla Costituzione, che prevede che Lombardia e Veneto possano aumentare un pochino la loro autonomia, ma non ha nulla a che fare con quanto hanno le Regioni a Statuto speciale. Questa scelta politica di spinta popolare delle due Regioni a conduzione leghista non era una strada obbligata: infatti nelle scorse ore la regione Emilia Romagna a Palazzo Chigi ha avviato diversamente l'iter senza passare dal referendum. Così il Presidente del Consiglio dei ministri, Paolo Gentiloni, ed il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, hanno firmato una dichiarazione di intenti così formulata: "A seguito della risoluzione adottata il 3 ottobre dal Consiglio regionale dell'Emilia Romagna, al fine di ottenere forme e condizioni particolari di autonomia, il Governo e la Giunta regionale intendono dare corso a tale proposito. Le materie interessate saranno oggetto di ogni necessaria valutazione, da compiere anche in forma bilaterale, in modo da perseguire un esito positivo sia per la Regione sia per l'ordinamento repubblicano sia, soprattutto, nell'interesse del Paese". Ciò è avvenuto, con logica parlamentaristica, dopo il pronunciamento dell'Assemblea legislativa dell'Emilia-Romagna su di un documento proposto dalla Giunta regionale sul riconoscimento di una maggiore autonomia all'Emilia-Romagna. Tutte e tre le richieste slitteranno ormai alla prossima Legislatura, visto che il Parlamento italiano si avvia al suo scioglimento. Quel che è certo è che innescare questa miccia porterà, giocoforza, a pensare che nei prossimi anni torneranno all'attacco tutti i nemici delle Speciali e non sarà una situazione facile.