Chi sappia, solo per conoscenze maggiori sull'interpretazione dei messaggi politici, analizzare lo stato dell'Autonomia valdostana coglie con consapevolezza lo stato di viva difficoltà che si registra di questi tempi. Senza giocare alla drammatizzazione o buttarla sulla storia del "nemico alle porte", è chiaro che i segnali che pervengono parlano con chiarezza di scelte politiche coincidenti che potrebbero portare in tempi brevi ad una liquidazione della cosiddetta "Specialità". La debolezza di questo nostro ordinamento era ben chiara dai primi decreti luogotenenziali dal 1945 sino allo Statuto del 1948 per la semplice ragione che lo Stato aveva gli strumenti giuridici per staccare in modo unilaterale la spina. Ma contro questa ipotesi generazioni hanno operato con successo, anche non tutti remavano nella stessa direzione.
Per cui è legittimo in questa fase vedere se l'area autonomista vera e propria, come cultura e storie personali, rifletta di più sulle ragioni che uniscono rispetto a quelle che dividono per evitare che ad occuparsi del futuro della Valle d'Aosta siano persone che sono autonomisti per opportunismo o che, per propria formazione politica, non sappiano reagire con competenza e convinzione ai tentativi di continuo ridimensionamento di poteri, competenze e disponibilità finanziarie della Valle. I fatti dimostrano che fra il dire e il fare c'è di mezzo il mare... Esiste però, in ogni progetto di riaggregazione della diaspora autonomista, una necessità imprescindibile: senza passare il tempo a rievocare troppo il passato, sarebbe irresponsabile se non se ne ricordassero le ragioni di fondo, legate ad una situazione di scarsa democrazia interna nell'Union Valdôtaine e dello strapotere nel sistema politico e amministrativo di Augusto Rollandin. Fare finta di niente su questo punto, evitando che certe storture siano dimenticate soprattutto perché non si ricreino, sarebbe un'omissione e lo stesso vale per chi si sposta sullo scacchiere politico come una trottola. Ben diverso è l'atteggiamento generale che bisogna assumere, superando rivalità e personalismi. Ricordate - come ammonimento - il terzo capitolo dei "Promessi Sposi", quando Renzo, dopo che è andato a monte il matrimonio con Lucia si reca - su consiglio di Agnese - da un avvocato lecchese, il dottor Azzeccagarbugli, per ottenere qualche consiglio legale. Come abitudine nel mondo contadino, Renzo porta in dono quattro capponi che tiene stretti per le zampe, a testa in giù e, visto che è piuttosto agitato, durante il cammino gesticola scuotendo le teste degli animali i quali, da parte loro, ne approfittano per beccarsi a vicenda. Scrive il Manzoni con evidente ironia: «Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all'in giù, nella mano d'un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l'alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura». La metafora è diventata celebre: quando ci troviamo in difficoltà il rischio è che, al posto di unire le forze con chi si trova con noi di fronte a problemi comuni, subentra una logica di divisione e di accuse reciproche, cercando di sfuggire a responsabilità e autocritiche, cercando di mettere in evidenza i nostri pregi verso i difetti altrui, cercando di beccarci, come succede ai capponi (per altro vittime di castrazione...), e di conseguenza siamo tutti nei guai. Per cui bene guardare avanti con chiarezza per evitare di creare le condizioni per nuovi pasticci futuri e ripercorrere errori già visti.