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27 lug 2017

La Valle d'Aosta che sa stupire

di Luciano Caveri

In questi anni ho sempre dedicato parte dell'estate ad una dimensione domestica della vacanza, vale a dire cercando di guardare con occhi più curiosi questa Valle d'Aosta dove sono nato. Per altro, a dire la verità, anche nel corso dell'anno, nei finesettimana, posso dedicarmi ad approfondire la conoscenza di parti mai viste e trovo sempre delle novità, come nelle tasche piene di oggetti di Eta Beta. Sembrerà ridicolo che ciò avvenga per chi - come cronista o come politico, a seconda degli anni - ha avuto la fortuna di poter girare in lungo in largo e dunque di aggirarmi più di quanto possa capitare normalmente sino ad esaurimento. Eppure non è così: c'è sempre, volendolo, un approfondimento da fare, un luogo da visitare, persone da conoscere.

Mi ritrovo - come approccio e stato d'animo per nulla statici - in una definizione di George Orwell, che ha scritto: «Il patriottismo non ha nulla a vedere con il conservatorismo. E' la devozione a qualcosa che muta, ma che resta misteriosamente sempre lo stesso». Questo dimostra il dinamismo di una comunità e aggiungo in più - certo per quel che mi riguarda - come gli aspetti luciferini del nazionalismo abbiano, se ci si crede davvero, come antidoto immediato quell'insieme di valori derivanti dal Federalismo. Ci pensavo, ma in termini davvero meno ponderosi di come talvolta faccio con gli argomenti storici contro certo oblio imperante. Riguarda una straordinaria peculiarità della Valle d'Aosta, che ho sempre usato come cavallo di battaglia, quando mi è capitato di tenere conferenze di vario genere in cui si parlasse di noi. E concerne la particolarità - quella non contestabile da nessuno, come avviene, che so, per la questione linguistica - che riguarda la dimensione montana della Valle con gli annessi e connessi dei diversi problemi che ricadono su di un territorio che si sviluppo molto nella dimensione dell'altitudine (la media valdostana è di 2.106 metri). Nel succedersi delle epoche, specie con il lento ed inevitabile strutturarsi delle organizzazioni statuali, in cui i territori montani sono confluiti, questa storia di come dare pari opportunità a territori oggettivamente diversi dal resto è stato il problema politico per eccellenza. E la verticalità la si può vedere, senza neppure entrare nelle attività umane, attraverso la curiosa lente d'ingrandimento di che cosa sia la fauna di questa nostra parte delle Alpi, come segno tangibile di un territorio che dal fondovalle alle alte cime offre uno spaccato di differenza che, spalmato in orizzontale, attraversa altrimenti migliaia e migliaia di chilometri da noi, invece, concentrati in un piccolo territorio. Guardavo un libro di qualche anno fa, della "Musumeci editore", redatto da Massimo Bocca, Ivana Grimod (mia compagna di classe al Ginnasio!) e Luciano Ramirez che spiega coi testi ed illustra nelle foto la ricchezza della nostra Fauna (manca il lupo, che non era ancora arrivato ed aspettiamo l'orso, ormai vicino). Ecco cos'è una ricchezza derivante dalla convivenza di altitudini così differenti da prevedere - pur nel riscaldamento globale in corso - fasce molto differenti, ma anche anche peculiari microclimi locali. Un esempio? Nelle zone più secche ci stanno passeri, il biancone, il biacco, il ramarro, mentre nelle zone umide si va dal merlo acquaiolo al martin pescatore, dal germano reale alla folaga, dalla rana al tritone alpestre e via di questo passo. Nel "Piano Alpino", nella zona più alta abitata dagli animali, volano il gipeto e l'aquila reale, si aggirano la pernice bianca e la lepre bianca (residui artici, come il gallo forcello, che patiscono il caldo), la coturnice e il gracchio alpino. Svettano poi animali come lo stambecco (sopravvissuto in Valle alla sua estinzione), il camoscio, la marmotta. Nei boschi si aggirano la salamandra pezzata, il gufo reale, il picchio nero, lo scoiattolo (da noi non ancora minacciato dagli scoiattoli americani). Difficile da vedere è il cervo, ben presente il cinghiale. Nella zona dei coltivi e dei centri abitati di Valle d'Aosta dal gheppio alla poiana, dal rondone all'upupa, dal merlo alla cinciallegra, dal riccio alla volpe. Mi limito ad un elenco sommario, essendo molti di più gli animali che popolano le nostre vallate. A parte qualche specie che potrebbe rivelarsi in difficoltà e non a caso si sta lavorando sul patrimonio genetico degli stambecchi alla ricerca di preziose varianti che facciano uscire dal rischio letale di malattie che possano colpire individui senza difese, il mondo dei selvatici oggi cresce ma - come ricordavamo - patisce in parte di quel cambiamento climatico che può modificare abitudini, come dimostra la lepre grigia salita dove un tempo non c'era o l'invadenza di uccelli come la gazza ladra. Resta, anche in questo, la straordinaria ricchezza delle Alpi e di questa sua parte così bella, che è la Valle d'Aosta.