Sarà pur vero che la faccia è lo specchio dell’anima, ma va detto che - più terra a terra - sin da neonati abbiamo innata un'espressività del volto e naturalmente una gestualità e un uso della voce, che si sviluppano poi nel tempo con l'apporto ulteriore della cultura in cui viviamo. «Non fare quella faccia», vuol dire che talvolta una smorfia vale più di molte parole e pensiamo all'antico "poudzo", il pollice rialzato come gesto di assenso usato in Valle d'Aosta ed altrove, che dà il segno dell'utilità dei segni. Ci pensavo, leggendo su "Famiglia Cristiana" dell'ennesima "Giornata mondiale", questa volta dedicata a qualche cosa di ormai molto familiare. Scrive, infatti, Fulvia Degl'Innocenti: «Dal 2014 esiste anche la giornata mondiale delle emoji, ed è il 17 luglio».
«Questi simboli formano un linguaggio universale compreso in tutto il mondo - continua l'articolo - e veicolato soprattutto attraverso i mezzi di comunicazione digitali. Le emojii sono la traduzione grafica, spesso anche tridimensionale, degli emoticon e smaley, segni che esprimono le emozioni e realizzati con l'abbinamento dei simboli di una comune tastiera. Il primo caso di emoticon (parola che nasce dall'unione di emozione e icona) risale al XVII secolo quando in nella poesia "To Fortune" di Robert Herrick era presente il simbolo :). La nascita delle prime emoticon è molto controversa. La prima in assoluto pare essere stata usata il 12 aprile 1979 da un certo Kevin MacKenzie in una e-mail inviata agli iscritti a MsgGroup in cui suggeriva di introdurre qualche sentimento nei freddi testi dei messaggi. La prima faccina gialla sorridente apparve a fianco delle buone notizie sul giornale a opera Franklin Loufrani, giornalista nel 1972. Diede vita poi all'impresa Smaley, moltiplicando a dismisura le faccine che ora grazie al figlio Nicolas appaiono ovunque, dagli abiti firmati di grandi stilisti ai gadget più disparati. Sembra però che quella faccina fosse nata nel 1963, quando una compagnia d'assicurazioni commissionò a un grafico statunitense Harvey Ross Ball la realizzazione di un'immagine felice, che alzasse il morale dei dipendenti: ed ecco che nacque una faccia sorridente tutta gialla. Le emoticon divennero emoji con la diffusione dei moderni cellulari giapponesi. Ma fu sempre Nicolas Loufrani nel 1997 a sperimentare per primo le faccine animate». Questa sorta di geroglifico dei rapporti umani è diventato ormai un classico nella nostra vita e li infiliamo in tutti i mezzi di comunicazione che prevedano l'utilizzo di simboli grafici e la scelta ormai si fa sempre più vasta. Spiega ancora meglio il sito onicedesign: «Gli emoji sono immagini e simboli realistici, renderizzati sui nostri dispositivi. Per intenderci: la faccia gialla con gli occhi e la bocca sorridente è un emoji (riguardo il genere maschile o femminile del termine emoji, anche l’Accademia della Crusca lascia libertà di utilizzo: online sembra prevalere il genere femminile - la emoji - anche se per i forestierismi si vuole solitamente il genere maschile. Gli emoticon, invece, sono in qualche modo gli antenati degli emoji - di fatto, la loro introduzione è data 1982, ad opera di Scott Falham, che propose l'uso di :–) in una chat online. Sono glifi digitati su una tastiera che mimano alcuni segni ed espressioni. Ad esempio, se uso i due punti, un trattino e una parentesi per disegnare un sorriso, sto usando un emoticon :–)». Al di là dei precedenti, spiegano nell'articolo, c'entrano i giapponesi, resisi conto che via sms spuntavano molte immagini: «Shigetaka Kurita tradusse questa tendenza nell'uso delle immagini come una emergente difficoltà, da parte dei giapponesi, nel raccontare le proprie emozioni con le parole. Nel paese del Sol Levante, le emozioni sono parte fondamentale per la parola scritta: pensate alle lunghe lettere di ringraziamento, di buon augurio o di onorificenza, o semplicemente alla lunga tradizione di scrittura per ideogrammi. Le nuove tecnologie, puramente testuali, secondo Kurita stavano impedendo ai giapponesi di mantenere una sana e soddisfacente comunicazione attraverso i mezzi digitali. (…) La sua soluzione, quindi, furono gli emoji». Da un piccolissimo numero si arrivò poi a centinaia di simboli e infine alla loro standardizzazione, ma certo la diffusione mondiale si deve all'"iPhone" di "Apple" e poi all'utilizzo anche su "Android". Così finisce l'articolo citato: «Il futuro degli emoji sembra più che mai roseo. Ogni anno ne vengono introdotti di nuovi e, con il supporto di Unicode, il problema di standardizzazione e condivisione cross-platform è oggi completamente superato. Con ogni probabilità, continueranno ad arrivare nuovi disegni, per tradurre trend sociali e culturali in tempo reale nelle nostre comunicazioni digitali. Shigetaka Kurita è ancora stupito di come i suoi primi imbarazzanti 176 disegni abbiano contribuito, in effetti, a creare un linguaggio nuovo e universale. Dice: "Pensavo che avrebbero funzionato solo in Giappone. Ma, evidentemente, il bisogno di comunicare è lo stesso in tutto il mondo. Ed è bello sapere che è così"». E' una bella storia, che mostra corsi e ricorsi dei vari modi di espressività umana.