Bisogna stare allerta, ammesso che serva, perché siamo fortemente scrutati e campionati in ogni nostra presenza sul Web: si sa chi siamo, dove andiamo, che cosa ci piace o no, i nostri punti di forza e di debolezza. Senza fare i perseguitati o virare verso una sorta di paranoia, sia chiaro che esiste davvero una specie di screening con schedatura che oggi comprende persino, usando certe "app", il nostro stato di salute e le diverse analisi cui siamo sottoposti. Certo le Autorità che dovrebbero vigilare sulla nostra "privacy" (in italiano sarebbe "riservatezza", ma l'anglicismo deriva dal solito latino con "privatus", traducibile con "personale, particolare") stentano ad arginare un mare di tecniche con cui le nostre azioni vengono spiate, specialmente per usarci come consumatori.
Il loro approccio giuridico sembra debole e soprattutto lento, come dimostrano certe sanzioni erogate per giochini delle società telefoniche, che gabbano i clienti ma i vantaggi economici che ottengono sono enormemente superiori ai soldi che devono esborsare per punizione. E dunque lo fanno con cinica spregiudicatezza, anche perché dette società multinazionali - lo si vede anche con il Fisco - sgusciano via come delle anguille rispetto a regole che sul piano internazionale sono terribilmente zoppicanti. Comunque sia, ognuno di noi è come un pollo da spennare e non sempre le tecniche sono quelle di uno spiumaggio garbato. Ho già ricordato come lo specchio di chi si suppone noi siamo lo si vede dagli spam nella nostra posta elettronica, ma anche dalle pubblicità che spuntano dopo le nostre presenze sui "social", comprese le ricerche banali di un viaggio che poi ci riversano da booking ossessivi richiami di una località. Per non dire di certe noiose chiamate da call center. La pubblicità (osservate che l'origine è sempre dal latino "pūblĭcus, relativo allo stato, al popolo", contrapposto proprio a "privātus, privato") ormai ci insegue dappertutto e chi è cresciuto ai tempi delle geniali pubblicità di "Carosello" (che ogni tanto riguardo per sorridere) e degli ingenui annunci locali nella "Voix de la Vallée" non può non misurare la crescente invadenza. Trovo ad esempio sempre più scocciante leggere certi giornali cui sono abbonato on line e sopportare l'apertura di finestre di pubblicità ed è quanto avviene ormai dappertutto e, ad esempio su "YouTube", non sono sopportabili annunci che superano largamente tempi ragionevoli, diventando spottoni infiniti. Per altro la realtà è che i budget della pubblicità sono enormi: non è un caso che certe campagne sono delle meraviglie artistiche e concepite naturalmente con le tecniche più avanzate per colpirci e convincerci. Esiste una crescente logica di martellamento che viene attenuata, pur sfinendoti, dalla capacità di confezionamento dei messaggi, ma ci vorrebbe buonsenso rispetto a eccessi di aggressività. Trovo molto giusta, ad esempio la scelta della "Rai", in linea con il servizio pubblico, di togliere la pubblicità nei canali dei cartoni animati, perché gli spot agiscono sull'infanzia in modo ancora maggiore che sul pubblico adulto. Trovo anche che quando il troppo stroppia nasce una ripulsa da sovraesposizione che ti può far dire: mai, questo prodotto non lo comprerò mai, perché mi perseguita. I pubblicitari lo sanno di sicuro.