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02 dic 2016

Alsazia: la forza delle culture di mezzo

di Luciano Caveri

Mi piacciono tanto i Paesi di mezzo, che suscitano in me viva curiosità. E' una delle poche doti che mi riconosco e che penso che evitino che il mio senso nazionalitario diventi come il nazionalismo becero di chi pensa di essere parte di un popolo da considerarsi il più furbo della compagnia. Mentre o l'umanità sa scambiare i propri savoir faire e riconoscere quelli degli altri oppure si alimentano odi e incomprensioni. Amo perciò - come cittadino del mondo - in particolare coloro appunto che possono vantare culture che oscillano, senza la rigidità dei Paesi nazionali, al limitare di quella bufala della Storia che sono le frontiere, che irrigidiscono rapporti culturali millenari e costringono certe zone ad essere considerate province distanti e marginali. Così l'Alsazia, dove troppi cimiteri testimoniano di un eccesso di battaglie combattute per disfide territoriali: ricordate quante volte nello studiare sui libri ci siamo trovati a leggere delle contese per il possesso dell'Alsazia-Lorena? Ci pensavo non solo perché Strasburgo è stata per me una città familiare per il lavoro al Parlamento europeo e ancor di più per il "Consiglio d'Europa", ma per almeno per altre due ragioni.

La prima, sempre politica, è che ho sempre cercato di capire come si gestissero lassù i rapporti transfrontalieri da parte della Regione, che aveva avuto - eccezione in Francia - qualche potere in più degli altri. Fino a quando è incappata nella scelta sciagurata, operativa da quest'anno, delle macroregioni con la fusione di Alsace, Champagne, Ardenne e Lorraine, da due mesi definita con dizione anonima "Grand Est". L'avvenimento suoni come monito per chi vorrebbe trasferire una modellistica analoga in Italia: gli alsaziani, si sappia, non sono per nulla contenti di questo attacco ad una identità forte e precisa. Il secondo interesse è culturale, perché si possono giostrare - come fanno gli alsaziani e chi sceglie di diventare componente consapevole della comunità - diverse lingue, ma soprattutto quelle caratteristiche singolari proprie di una cultura, che forgiano il modo di essere di un popolo. So bene che si tratta di un insieme di caratteristiche, usi e costumi, forme espressive materiali e immateriali, miti e leggende e altro ancora. Trovo, essendo appena stato a Strasburgo e Colmar, che molto - tolta l'ovvia paccottiglia che c'è sempre - è rinvenibile nel cuore dei "Marchés de Noël", nati secoli fa in questa zona d'Europa e diventati una meta turistica da non perdere. Ricordo, infatti, come le origini prime dei mercati di Natale risalgano al XIV secolo in Germania ed Alsazia con il nome di "Mercato di San Nicola" (il Santo dei bambini anche per i walser in Valle d'Aosta), il riferimento nella cristianità del moderno Babbo Natale, che ormai è laico portaregali nella nostra cultura. Un primo documento attesta un mercato di Natale nel 1434 e lo cita come "Striezelmarkt" (mercato degli "Striezel", un dolce tedesco) nella cittadina di Dresda, il lunedì precedente il Natale. Poi, per via della Riforma protestante e delle critiche al culto dei Santi, il nome originario, quello legato a San Nicola, fu mutato in "Christkindlmarkt", valido ancora oggi. Altri mercati storici sono appunto quello di Strasburgo, che risale al 1570, e quello di Norimberga del 1628. Pian piano l'abitudine dei mercati natalizi si è diffusa in tutta la Germania e da lì in tutta Europa. In Italia, per ovvie ragioni, ha cominciato la città sudtirolese di Bolzano, che ha un mercatino che vale la pena di essere visto e che risale al 1990. Da pochi anni e con le ovvie varianti locali i mercatini sono arrivati anche in Valle d'Aosta, dove ancora non tutti hanno capito come l'attesa del Natale sia un'occasione significativa per sfruttare quanto di buono c'è nella tradizione e nei prodotti locali, senza mai avere il complesso di ricopiare quello che è stato fatto da altri. Siamo e restiamo scimmie, per quanto evolute, e parte della crescita della civiltà, oltre all'originalità delle scoperte, passa attraverso la capacità di fare proprie, modellandole con il proprio bagaglio, quanto altri hanno concepito. Mai la riproposizione non sarà mai come l'originale e avrà nel tempo la possibilità di diventare una versione particolare e non una ridicola fotocopia, ma senza dimenticare da dove tutto è partito, magari con una visita periodica che consenta di ben capirlo.