Una volta il gioco d'azzardo era limitato e ciò avveniva in coerenza con il fatto che il codice penale non lo consentirebbe. Oggi chi regola i giochi in Italia è lo Stato con un comportamento ambiguo, perché ha fatto delle deroghe la normalità e dei divieti l'eccezione. Per altro ormai lo Stato è del tutto dipendente dai giochi, avendo creato un sistema di fiscalità imponente senza il quale non farebbe più quadrare i conti pubblici. Con la straordinaria ipocrisia di tenere i piedi in due scarpe: "biscazziere" ma anche preoccupato tutore dei cittadini contro la ludopatia, la dipendenza patologica da gioco. Il boia e l'impiccato. Aggiungiamo che varie inchieste dimostrano poi che il debordare dei giochi e il loro evidente eccesso ha favorito non solo la triste prigionia del vizio per milioni di italiani che trovano ormai tentazioni ovunque sui loro passi, ma è dimostrata l'esistenza di spinte per una sempre maggior liberalizzazione anche da parte di gruppi economici riportabili alla criminalità organizzata.
Il caso della Valle d'Aosta ha una particolarità. La diffusione, specie nei bar e nelle tabaccherie, di giochi di tutti i generi ricalca grossomodo la situazione italiana, ma esiste il caso singolare di un potere pubblico regionale che rischia di essere servo di due padroni. Nel senso che si trova a dover riflettere su come limitare il gioco che danneggia la comunità con casi crescenti di malati del gioco con ricadute terribili per chi ci casca e per i loro familiari, e dall'altra è proprietario e ormai gestore di quel grande "Casinò de la Vallée" di Saint-Vincent che da "gallina delle uova d'oro" si sta ormai dimostrando più un debito che un vantaggio, come lo era stato invece per tanto tempo dal 1947 ad oggi. Aggiungiamo, per contestualizzarlo rispetto al locale impatto sociale, che da pochi anni è caduto con inspiegabile faciloneria il divieto per i valdostani di entrare nella "propria" Casa da Gioco nella considerazione che ormai potevano giocare in Valle nei bar o nelle poche sale apposite. In realtà ciò è stato fatto per incrementare gli introiti in tempo di crisi con la Regione che spenna, di fatto, i propri cittadini e poi - ovvio paradosso - spende dei soldi nella sanità per curare chi diventa vittima della ludopatia, creando un evidente loop. Nel resto d'Italia le Regioni si muovono. Leggete questa notizia: "«Sono stato tra i firmatari della legge contro la ludopatia che è stata poi approvata dal Consiglio. L'impegno contro il gioco d'azzardo e la dipendenza dalle slot machine, che ci ha consentito di essere apripista, non può che continuare». In occasione della "Giornata no slot", che si è celebrata ieri in tutta Italia, il presidente Enrico Rossi ha ribadito l'impegno della Regione Toscana: «Applicheremo in maniera sempre più stringente la legge che abbiamo fatto, e vogliamo anche alzare la voce per chiedere al Parlamento di legiferare sempre di più a favore di chi investe su cultura e socializzazione, piuttosto che favorire la diffusione delle slot, che producono sofferenza e solitudine»". Capisco che per un presidente della Valle dire la stessa cosa suonerebbe come vagamente ipocrita. Ma va detto che ci sono, in un Casinò, possibilità di controlli - ed anche di inibizione dei giocatori, cui vietare l'accesso alle sale - che possono creare controlli impossibili altrove, specie con la diffusione a pioggia di giochi in tutti gli angoli, compreso (e questo dematerializza la territorialità) il gioco on line. In Italia si muovono anche i Comuni e la polemica di qualche settimana fa ad Aosta, con l'Associazione commercianti schierata contro i divieti eventuali, com'è ovvio da parte di chi con i giochi ci campa, dimostra come in effetti ci possa essere un intervento locale significativo non per un divieto assoluto, ormai impensabile, ma per formule di regolamentazione o di fiscalità di vantaggio per i bar senza slot per mettere dei paletti. Quegli stessi paletti che una normativa statale potrebbe a breve non mettere ma addirittura togliere per non disturbare i mille interessi, legittimi e no, che ruotano attorno al business sul quale esiste una sola certezza e cioè che il cittadino è messo nelle condizioni di rovinarsi con grande facilità. Se si guarda al valore del gioco in Italia (84,4 miliardi!) e anche nella nostra piccola Valle (nel 2014 si calcolavano per i "videopoker " 21 milioni di euro con una spesa di 165 euro pro capite) c'è da preoccuparsi seriamente e trovare una soluzione ragionevole - essendo il proibizionismo una strada sbagliata - ed assolutamente doverosa e di buonsenso, senza preoccuparsi di chi (tra l'altro non avendoli neppure...) minaccia di spostare pacchetti di voti se si tocca l'argomento in una sorta di scambio, che è tema da prendere sempre con le pinze per chi lo sbandieri troppo per la sua eventuale rilevanza penale.