Seguo con interesse tutto quanto esce sul mondo della montagna ed i problemi delle popolazioni che vi abitano, cui ho dedicato parte della mia vita. Ricordo, tra l'altro, che - nel caso della Valle d'Aosta - è proprio l'atto costitutivo del 1945, prima dell'attuale Regione autonoma, a definire nel "Decreto Luogotenenziale" le ragioni di questo particolarismo: "La Valle d'Aosta, in considerazione delle sue condizioni geografiche, economiche e linguistiche del tutto particolari, è costituita in circoscrizione autonoma con capoluogo in Aosta". Una rappresentazione efficace del perché si dovesse avere un regime autonomistico e questo - senza alcun egoismo - dovrebbe valere per tutte le vallate alpine. Lo ricordino coloro che vogliono asfaltare le Speciali alpine al posto di elevare i propri territori a livelli di maggior libertà sul proprio destino.
Ecco perché è un dovere della politica valdostana seguire il dibattito in Italia senza andare al traino di altri e vigilare sulle discussioni in Europa, che mi sembra abbastanza languire. Dovessi dire, da dovunque si veda la questione, la grande incompiuta resta l'esatta definizione, con criteri oggettivi e non vaporosi, di che cosa si intenda per montagna. Ci trasciniamo ancora dietro, malgrado qualche piccolo miglioramento nel tempo, la filosofia di allargamento del concetto di montagna nata con le Comunità Montane, che hanno in Italia inglobato zone che non vanno neppure considerate pedemontane. Ma, si sa, togliere è sempre più difficile che aggiungere... In passato avevo fatto proposte legislative concrete, sparite dall'orizzonte a me noto, benché presentate in Parlamento (ma con lo scadere della Legislatura tutto muore), giungendo alla conclusione che l'Europa - e non i singoli Stati - dovesse fissare uno schema in una Direttiva. L'applicazione spetterebbe poi all'intelligenza degli Stati membri, tenendo conto delle proprie montagne e delle grandi diversità - pensiamo solo all'altimetria - che connotano ogni realtà. E' questo l'unico modo per dare gambe a quel famoso articolo 174 dei Trattati, che così dice: "Per promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale. In particolare l'Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite. Tra le regioni interessate, un'attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale ed alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna". Scrivere questo "montagna" è stato un lavoraccio, ma mentre si sa bene cosa siano le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica, così come appare evidente che cosa sia un'isola o una zona transfrontaliera, la chiarezza su questa benedetta montagna non c'è affatto e troppe ambiguità, in diversi Stati membri, rendono poi facile all'Unione europea traccheggiare quando ci bisogno di mettere nero su bianco interventi chiari e netti. Una direttiva metterebbe i punti sulle "i". Ma si sa che, anche per la montagna, troppo spesso si fa uso di retorica e pure della suggestione dell'effetto annuncio. Tecnica che consiste soprattutto nel cambiare tema senza che quello precedente sia stato risolto, contando sulla smemoratezza popolare e sulla forza illusionistica delle promesse. Restano alcune ricerche del passato. Tra l'altro fui promotore di un volume, uscito più di dieci anni fa, intitolato "Lavorare e vivere in montagna, Svantaggi strutturali e costi aggiuntivi", fatto di dati e di spiegazioni sul perché l'eguaglianza vera la si ottenga solo - per principi elementari di giustizia - dando alla montagna, attraverso opportune misure compensative, le stesse chance che hanno gli altri territori e soprattutto gli altri cittadini.