Oggi è la "Festa dell'Europa" in un periodo nel quale - scusate la banalità del gioco di parole - sono in troppi a voler fare "la festa" all'Unione europea. Per cui, nel mio piccolo, festeggio, segnalando come il paradosso iniziale stia in partenza nel fatto che gli Stati membri - ognuno dei quali ha le sue festività - non siano riusciti a farne una festività comune, bella e coinvolgente, dà il segno purtroppo di una cittadinanza europea considerata per ora come un'identità d'accatto, buona per molti solo da evocare quando si è in giro in un altro Continente. Io, invece, penso che mai come ora, in cui l'Europa sembra l'ultimo dei problemi in un oblio tinto persino di incomprensioni e talora di odio, sarebbe bene non perdere il senso della Storia, almeno apprezzando il fatto che generazioni come la mia sono cresciute con il privilegio di non vivere gli orrori di una guerra.
Ricordo che, non a caso, la giornata di oggi - come data celebrativa - è stata scelta, anche se è poco conosciuta e non gronda di eccessi retorici, perché in quel giorno, il 9 maggio del 1950, venne resa nota la "dichiarazione Schuman". L'allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman - personalità politica eminente nella costruzione europea - propose e poi l'ottenne la creazione di una Comunità europea del carbone e dell'acciaio. Ha ragione il grande europeista Jean Monnet: «La grande révolution européenne de notre époque, la révolution qui vise à remplacer les rivalités nationales par une union de peuples dans la liberté et la diversité, la révolution qui veut permettre un nouvel épanouissement de notre civilisation, et une nouvelle renaissance, cette révolution a commencé avec la Communauté européenne du charbon et de l'acier». A cinque anni dalla fine della terribile e dolorosa Seconda Guerra Mondiale così esordiva, con grande efficacia, il documento premessa alla nascita della "Ceca": "La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che un'Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche. La Francia, facendosi da oltre vent'anni antesignana di un'Europa unita, ha sempre avuto per obiettivo essenziale di servire la pace. L'Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra. L'Europa non potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto. L'unione delle Nazioni esige l'eliminazione del contrasto secolare tra la Francia e la Germania: l'azione intrapresa deve concernere in prima linea la Francia e la Germania. A tal fine, il Governo francese propone di concentrare immediatamente l'azione su un punto limitato ma decisivo. Il Governo francese propone di mettere l'insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta autorità, nel quadro di un'organizzazione alla quale possono aderire gli altri Paesi europei. La fusione della produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea, e cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime". Mi fermo qui nella lunga citazione, che voleva dimostrare due cose. La prima è che i documenti politici sono chiari quando le idee sono chiare e buoni i propositi: ormai ho un rifiuto viscerale per l'orrendo politichese, che spesso mostra la sottostante modestia intellettuale. La seconda è che l'Europa nasce proprio dalla consapevolezza che, con le bombe atomiche a disposizione, o si trovavano gli elementi per unirsi, iniziando pragmaticamente dagli elementi di divisione economica, oppure il Vecchio Continente sarebbe stato spazzato via letteralmente dalle guerre che sarebbero esplose di nuovo, percorrendo sentieri antichi fatti di radicati risentimenti e dissidi, che solo l'Europa ha contribuito a dissipare. E' bene ricordarlo, constatando come la formazione europeista dei giovani resti "a spizzichi e bocconi", lasciata alla buona volontà degli insegnanti e non ad un disegno consapevole di cittadinanza europea come valore condiviso e antidoto al virus della violenza. Che si ricordi a questo proposito che il caso fa sì che un altro 9 maggio, quello del 1945, segnò la fine della Seconda Guerra Mondiale, trattandosi del giorno successivo alla firma della capitolazione nazista.