Il valico del Brennero (giorni fa Matteo Renzi, citandolo, ha parlato di «tunnel stradale», ma era una gaffe evidente) sta diventando un problema politico a causa del fatto che l'Austria vuole militarizzare quella frontiera, anche con la costruzione di barriere vere e proprie, per evitare "invasioni" di migranti. Si accendono dunque i riflettori su questo varco che, in tutta la catena alpina centrale, si trova a quota più bassa, con i suoi 1.375 metri di altitudine, ed è stato praticato strategicamente per le attività commerciali e pure belliche fin dall'antichità. Già nel 15 a.C. fu costruita la prima strada romana, la "Via Claudia Augusta", che attraversava il "Passo del Brennero" e, circa duecento anni più tardi, l'antico sentiero venne trasformato in una strada militare.
Da lì in poi il Brennero conobbe diversi periodi di fioritura, culminati nel 1867 con l'inaugurazione della "Ferrovia del Brennero", un'opera che nella storia di questo valico ha assunto ed ha tutt'oggi un ruolo di primaria importanza. Su un tracciato nuovo si sta scavando anche un moderno tunnel ferroviario, considerato strategico dall'Unione europea. Nel 1974 venne aperta poi tutta la "Autostrada del Brennero", anch'essa parte della Rete transeuropea dei trasporti e per loro fortuna in mano alle due Province autonome. Scriveva giorni fa Gerhard Mumelter, giornalista, corrispondente del giornale austriaco "Der Standar", sulle pagine de "L'Internazionale": «Certo: il Brennero è un luogo inospitale e cupo, incastrato tra ripide rocce. Spesso si presenta innevato. E' ovvio che nessuno dei viaggiatori si accorge di passare lo spartiacque delle Alpi, da dove nascono fiumi che per una differenza di pochi metri finiscono nel mar Nero o nell'Adriatico. (…) Nel 1867, sul Brennero, la vera rivoluzione arrivò con la ferrovia costruita sotto la monarchia asburgica, superando le Alpi con trafori e viadotti arditi. E l'era delle carrozze a cavalli tramontò in pochissimi anni. Nel 1919 la divisione traumatica del Tirolo portò la linea del confine proprio lì dove nel corso dei secoli non c'era mai stata: il Brennero diventava la frontiera tra l'Austria e l'Italia. L'Alto Adige fu annesso e pochi anni dopo cominciò l'italianizzazione forzata della regione voluta dal fascismo. Nel 1940 al Brennero s'incontrarono Hitler e Mussolini per rinforzare l'asse Roma-Berlino». Prosegue più avanti il giornalista, a segnalare il forte aspetto politico: «Nei primi anni sessanta quello del Brennero diventò un confine molto caldo. Alle bombe in Alto Adige il Governo italiano reagì con l'invio di ventimila soldati. I rapporti tra Vienna e Roma erano talmente gelidi che l'Italia, nel luglio del 1962, decise di introdurre l'obbligo del visto. I controlli al confine erano rigidissimi. Senza visto non si poteva neanche andare da Innsbruck a Vipiteno. Bisognava affidarsi di nuovo ai contrabbandieri. Nel 1964 furono due socialdemocratici ad introdurre la normalizzazione dei rapporti: il cancelliere Bruno Kreisky ed il presidente italiano Giuseppe Saragat. (…) Dopo lo Statuto di Autonomia, per oltre mezzo secolo l'Alto Adige e l'Austria hanno fatto di tutto per cancellare quel confine di alto valore simbolico che è il Brennero. E non poteva esserci immagine più simbolica di quella del 1998, quando il ministro dell’interno dell'epoca, Giorgio Napolitano, ed il suo collega austriaco, Karl Schlögl, hanno rimosso le barriere del Brennero sotto i flash di decine di fotografi. Era l'inizio dell'era Schengen, la realizzazione del sogno di viaggiare senza confini. Napolitano tuttora insiste: "Non è immaginabile che si torni indietro da quella storica decisione"». Il Presidente emerito ha ragione: tornare indietro sarebbe uno scandalo ed un affronto alla Storia. Il mio amico, direttore di "Alto Adige", Alberto Faustini segnala un ruolo chiave dei sudtirolesi, su cui - come una benedizione a difesa dell'autonomia - pende la garanzia internazionale di Vienna. E così scrive rispetto al ruolo-motore del presidente della Provincia autonoma: «Non era facile, per Kompatscher, prendere a male parole il giovane ministro austriaco degli Esteri Kurz. Perché Sebastian è l'amico che al congresso della "Svp" di due anni fa regalò due scarpe da ginnastica all'obmann Achammer (Philipp, il presidente - "obmann" - della "Südtiroler Volkspartei", n.d.r): per invitarlo a correre - insieme al Landeshauptmann (termine tedesco attribuito al presidente del Governo regionale, n.d.r.), suppongo - e non certo per farsi dare calci negli stinchi. Ma l'altro giorno - in un vertice alla panna montata - il capo dell'Autonomia altoatesina avrebbe dovuto alzare la voce, come ha cercato di fare il presidente trentino Ugo Rossi. Un pezzo della devozione dell'Alto Adige nei confronti di mamma Vienna, l'eterna protettrice, si può capire. Ma di qui ad accettare supinamente che il ministro ribadisca che chiuderà il confine del Brennero... E' impensabile che in pochi giorni l'Italia e l'Europa trovino una soluzione per far cambiare idea all'Austria. E' pensabile, invece, che possa provarci Arno (Kompatscher, n.d.r.). Ma se ci prova come ha fatto l'altro giorno, quando ha scambiato un incontro di boxe per una festa danzante, c'è poco da sperare. Contrariamente a Rossi, che ha giustamente ricordato a Sebastian Kurz che non si possono lasciar morire i profughi come se niente fosse, ma che non ha spalle solide quando lascia il territorio Trentino, Kompatscher ha grande ascendente su Renzi e sul Governo austriaco. Ma se le giuste influenze non vengono messe in campo in momenti come questi, nei quali questa terra non rischia di veder morire solo l'Europa al confine del Brennero, ma anche un pezzo della propria storia, della propria peculiarità, allora si rischia di passare in quattro secondi da amici strategici a servi sciocchi». Parole dure, certo, ma sono sicuro che i miei amici sudtirolesi capiranno la partita che si sta giocando e che è strategica anche per il loro futuro, che deve far riflettere bene - ciascuno con il suo passato - tutti gli altri popoli considerati di confine contro il ritorno delle frontiere.