Sono molti anni che non mi confesso con un prete. Per altro, essendomi prima separato e poi avendo divorziato, il mio status - almeno per ora - resta abbastanza misterioso. Il recente "Sinodo sulla famiglia" pareva aver deciso di non decidere, ma poi qualche settimana fa Papa Francesco sembrava aver spostato l'asticella a favore di una riconciliazione e di una apertura, ma par di capire che la grande discrezionalità degli spazi da riempire renda la situazione statica. L'altro giorno, facendo zapping con la radio in macchina, mi sono beccato un gongolante padre Livio Fanzaga, fondatore di "Radio Maria", che leggeva da "Il Foglio" un intervento di tal monsignor Livio Melina, preside dell'Istituto "Giovanni Paolo II" per studi su matrimonio e famiglia, a proposito dell'esortazione apostolica post sinodale "Amoris Lætitia".
L'autore - l'articolo lo trovate sul Web - picchia duro e la tesi è qui riassunta in qualche stralcio: «E' dunque legittima la domanda: il testo appena pubblicato rappresenta davvero un cambiamento nella disciplina tradizionale della Chiesa, permettendo finalmente ai divorziati "risposati" di ricevere la comunione, almeno in certi casi? Dopo aver letto il capitolo ottavo, in cui si esamina la questione, c'è una sola possibile conclusione: l'esortazione apostolica "Amoris Lætitia" non cambia la disciplina della Chiesa». In sostanza verso i peccatori come me, secondo questa interpretazione, bisogna essere misericordiosi, ma niente perdono! Intendiamoci: capisco che esiste una lotta interna alla Chiesa e non ho mezzi e capacità per capire l'esatta e complessa dottrina. Per altro, anche nella laicità della mia vita, ad esempio in politica, il "perdonismo" - cioè l'atteggiamento di chi con facilità cancella la realtà non per bontà ma per opportunismo - non mi appartiene. Certe cose non si cancellano "per vedere l'effetto che fa" e certi giudizi espressi non spariscono con un sorriso bonario. Mi capita ogni tanto di leggere qualche pensiero sul sito della comunità francese di Taizé in Bourgogne: «Il est des blessures que l'on n'oublie pas. Dans certaines situations tragiques, le chemin vers la guérison semble passer par une prise de conscience de la profondeur du mal plus que par l'oubli. On n'évacue pas le mal - il reste de toutes façons -, mais on peut ne pas s'y dérober pour le laisser peu à peu s'abîmer dans l'amour, puis se transformer. Si l'Ancien Testament parle de la colère de Dieu, c'est que Dieu a mal et que son amour envers Israël est blessé par les infidélités de son peuple. Or, le plus extraordinaire de l'histoire biblique - c'est la découverte des prophètes - réside dans le fait que, par amour, Dieu va au-delà de sa propre colère: «Mon peuple est cramponné à son infidélité. […] Mon cœur en moi est bouleversé, toutes mes entrailles frémissent, mais je ne donnerai pas cours à l'ardeur de ma colère, […] car je suis Dieu et non pas homme […]» (Osée 11, 7-9). Pour celui qui pardonne, le pardon est un combat contre sa propre colère. L'ardeur ne pousse plus à une réaction violente mais à une déchirure intérieure: sacrifier son attente de justice pour faire un pas vers celui qui a péché». Ma questo dovrebbe giustamente essere l'atteggiamento religioso, che già abbiamo visto tentennare di fronte a chi si trovi con una nuova famiglia dopo avere evidentemente sbagliato una prima volta (anche se resta nel mio caso la gioia in comune di due figli). Nella pratica della vita quotidiana, invece, di fronte alla sfera dei rapporti sociali politici io non dimentico, specie se chi dovrei perdonare persevera... Allora vale una citazione, quando risulta un'ipotesi applicarla e capisco che è più un atteggiamento mentale che una possibilità fattuale: «Io non parlo di vendette né di perdoni; l'oblio è l'unica vendetta e l'unico perdono» Jorge Luis Borges.