Può un regionalista occuparsi, benché dipendente della "Rai", del futuro del servizio pubblico radiotelevisiva in un chiave di riflessione sul ruolo dei territori? Certo non mi occuperò del mio lavoro corrente, come responsabile della "Struttura programmi" della "Rai Vd'A", anche se ne avrei da dire, compresa la parzialità e certa confusione derivante dal recente report - solo sulla televisione - svolto su due mesi su dodici del 2015 con il lavoro commissionato dal "Co.Re.Com.". Mi chiedo, invece, avendone vissuto la genesi, anche se poi per ventidue anni sono stato in aspettativa per mandato politico, quale sarà il destino di "Rai3", rete all'interno della quale da noi in Valle si innestano ancora - come ab origine - i telegiornali regionali e quel che resta della programmazione su base regionale, rimasta viva per Aosta (italiano, francese e patois senza reale status giuridico in assenza di norma d'attuazione) e per Bolzano (con tedesco e ladino, ma in un quadro di forte impegno provinciale), Trieste (con lo sloveno) e poche altre cose - mi riferisco a radio e televisione - a Trento ed a Cagliari. E naturalmente per Aosta vanno appunto ricordate anche le trasmissioni su "Radio1".
Ebbene: nella logica del decentramento ideativo e produttivo di quarant'anni fa nacque la "Terza Rete", come rete televisiva a vocazione regionale, mentre in radio - a differenza delle grandi esperienze pubbliche in Europa, ad esempio Germania e Francia - non sono mai nate emittenti pubbliche locali, ma vi sono spazi sulle rete nazionali. Questa ambizione di una televisione regionalista si sgonfiò quasi subito con una rigida ripartizione - davvero da Prima Repubblica - fra una "Prima Rete" targata Democrazia Cristiana, una "Seconda" in capo al Partito Socialista Italiano e la Terza appannaggio del Partito Comunista Italiano. Sarà una suddivisione rozza nel ricordo di quei tempi, che non teneva certo conto dei tanti "non targati" o dei lottizzati di qualità (un tempo le raccomandazioni non erano random, ma tenevano conto delle capacità). Con l'avvento di quella che è stata chiamata la Seconda Repubblica, tutto si complicò, come dimostrato ad esempio da certe carrierone improvvise in quota Lega. Oggi il quadro - reso ormai rigido con "Rai3", che è diventata rete nazionale senza "se" e "ma" - è ancora più confuso e basta leggere i giornali per capire come, ad esempio per le recenti nomine, le chiavi di lettura siano le più varie e le più dietrologiche. A me, che pure leggo, mi informo e mi sono formato le mie convinzioni, resta da esprimere una speranza e cioè che non si torni, come potrebbe essere, ad una "Rai" ancor più centralistica e romanocentrica, come modello corrispondente ad un certo centralismo politico in via di affermazione, dopo la stagione del "quasi federalismo" (che come il "quasi gol" significa che nessuna rete è finita in porta). Sarebbe davvero un peccato che, com'è avvenuto in passato nel nome del trionfo localistico delle private (ma quelle che incidono su realtà locali sono rara avis), i decisori non cogliessero come nella mission del servizio pubblico non possa non esserci una presenza di una programmazione televisiva e radiofonica (non solo dell'informazione) su base regionale, corrispondente non tanto al disegno costituzionale, ma anche specchio di un Paese che è assai differenziato al suo interno e che dev'essere raccontato dal di dentro a chi ci abita e non solo espresso legittimamente nelle trasmissioni nazionali. Questa "Rai" caleidoscopio delle realtà locali è importante non solo rispetto ad un'opinione pubblica che reclama una rappresentazione delle diversità e del pluralismo, ma lo è anche rispetto alla giustificazione di un canone televisivo ed ai rischi sempre presenti di dover giustificarne in Europa il perché di questo pagamento rispetto alle regole del Mercato ed alla possibile distorsione della Concorrenza. In fondo esisteva questo seme rispettoso delle identità plurime già nella nascita nel dopoguerra dei "Gazzettini regionali", in parte eredità di una "Rai" che aveva diverse sedi di emissione nel solco dell'"Eiar" e delle tecnologie dell'epoca, ma poi - finiti gli entusiasmi della regionalizzazione televisiva anche con la chiusura delle strutture di programmazione, tranne le poche eccezioni citate - tutto è rimasto avvolto da una nuvola di indifferenza e trovo che sia un vero peccato.