E' difficile, per chi ne abbia solo una visione odierna, capire che cosa sia stato in passato il "Casinò de la Vallée". Una "macchina da soldi" importante per alimentare l'Autonomia valdostana, specie in epoca di magri trasferimenti del riparto fiscale (mentre naufragava la speranza della "Zona Franca") ed anche un'occasione di lavoro importante e solida per generazioni di valdostani, che si trovarono con molti soldi in tasca. E' vero che, per contro, il Casinò ha sempre alimentato le cronache giudiziarie, ma a leggere poi le sentenze conclusive si nota la distanza con le prime tesi accusatorie. Per ragioni anagrafiche ho avuto la possibilità di vedere stelle e lustrini di quegli anni d'oro e anche, affiancata non a caso, quella ricchissima attività culturale (premi di giornalismo e dell'economia, grandi manifestazioni organizzate dal grande Jader Jacobelli e molto altro ancora) che era il volto per così dire "istituzionale" rispetto all'attività del gioco, che da sempre ha suscitato pruderie e commenti moralistici.
Oggi la Cultura è morta e così certi legami lobbistici con politica e mondo dell'informazione, che avevano una loro utilità. Ma i Casinò servivano un tempo anche per incanalare il gioco in un alveo di legalità, poi - quando lo Stato ha sbracato diffondendo formule di gioco le più varie - le cose sono solo peggiorate, anche per chi soffre di ludopatia. E se si parla dei connubi fra Mafia e Casinò, vien da pensare alle inchieste che hanno dimostrato come certi racket agiscano con penetrazione ben più capillare nel mondo delle macchinette ormai diffuse dappertutto nei bar. Il Casinò di Saint-Vincent, per altro ormai sotto la minaccia del "decreto Madia" che tende a riportare in carreggiata le Partecipate pubbliche che creano debiti, in questi ultimi anni si era concentrato sui lavori assai costosi di ristrutturazione, che mostrano già segni di logoramento e mettono in luce dubbie scelte progettuali. Poi il management si è occupato del personale, specie dei costi meno sull'ottimizzazione, come "chiave di volta" per risalire dai baratri di bilancio. Certi cambi al vertice sono stati implicito riconoscimento del fallimento di certe gestioni precedenti di persone che avrebbero dovuto essere in grado di pesare le situazioni di difficoltà del Casinò per ragioni proprie e e nel contesto della crisi economica generale, ma non si sono dimostrate all'altezza. Purtroppo certe scelte gravano tuttora pesantemente e quotidianamente sulla Casa da Gioco e almeno sinora nessuno ha pagato il conto. Si vive ancora - dopo aver dato tempo a chi è sopravvenuto al vertice - nella logica del "giorno per giorno", nell'ossessione del risparmio (ma cercando formule per inquadrare precari sull'uscio), curando clienti anche un tempo sgraditi, sperando nella buona stella con "Tizio" piuttosto con "Sempronio", perché una singola vincita o perdita importante scuote i bilanci. Intanto, sparite le grandi prospettive dei cinesi che avrebbero consentito di cambiare marcia, le strutture alberghiere languono - eccettuate le ospitalità - in un clima quasi surreale. In generale la riorganizzazione interna finora intrapresa è molto blanda e procede a rilento, mentre potrebbe contribuire in modo ben più sostanziale per ricavare risorse economiche spendibili per promuovere efficacemente l'immagine e la resa del Casinò, valorizzando le abilità e le competenze effettive delle persone operanti nella Casa da Gioco, affiancate da intelligenze che trovino idee per una svolta. Intanto, inghiottiti certi stanziamenti da capogiro, si cerca oggi la quadratura del cerchio che finisce per essere un paradosso: bisogna "stringere la cinghia" e ridurre i servizi, ma questo fa a pugni con le necessità finanziarie per un rilancio, che prevederebbe operazioni di marketing vero e non logiche polverose da porteur del passato. Insomma: "le nozze con i fichi secchi", senza nessuno che sia in grado di operare il miracolo e di dare reali prospettive. Malgrado il sindaco Mario Borgio abbia votato il Bilancio del Casinò - con scelta personale che immagino suonasse come un'apertura di credito - le famose "azioni di sinergia con il paese" sembrano essere contraddette da scelte che tendono a mantenere la Casa da Gioco come un fortilizio isolato ed anzi ad accentuare la chiusura al mondo esterno. Capisco che non è facile, che il mondo delle Case da Gioco è in evoluzione e che lo Stato biscazziere incombe sempre più minaccioso, ma la mia impressione è che si percorrano strade già battute, magari con buona volontà ma senza incidere davvero in profondità. Così le prospettive restano cupe, se non si svolta verso reali elementi di novità, al posto di rimasticare quanto già fatto senza risultati. Nessuno ha la bacchetta magica, ma Piani di sviluppo di fatto solo cartacei sembrano oggi rinviare di poco il redde rationem (la resa dei conti...) e sarebbe una sconfitta per tutti, ma specie per chi - cambiando cavallo quando quello usato è ormai stremato - finge in sostanza di non avere mai avuto responsabilità nelle scelte sbagliate.