La storia è stranota: esiste una difforme visione della linea confinaria del Monte Bianco, specie nella zona sommitale, fra Italia e Francia. Malgrado questa disputa sia stata oggetto di appositi approfondimenti diplomatici e tecnici, sulla base di una serie di antichi documenti sempre validi, non si è ancora usciti dall'ambiguità. Di conseguenza, mentre le trattative sono giunte ad un punto morto, la cartografia francese ha fatto scuola per evidente miglior capacità di imporre le proprie posizioni e persino moderni sistemi come "Google Maps" l'hanno presa per buona. In soldoni la cima è francese e chi si è visto si è visto. Chi è europeista e assieme crede che in zona alpina certe frontiere siano davvero artificiali («cicatrices de l'Histoire» secondo il federalista Denis de Rougemont) non se ne fa naturalmente un problema di sovranità statuale, ma di logicità pratica per sapere anche chi fa che cosa e dove (ad esempio per il "Soccorso alpino" esistono già appositi protocolli).
Se proprio devo spendere un pizzico di patriottismo buono, fatemi dire che, come valdostano, mi girano le scatole che su di un pezzettino di vetta del Bianco non si possa mettere un bandierina rossonera (con quella europea). Che la bega ci sia, per altro, dalle battute fatte all'inaugurazione della nuova funivia del Monte Bianco lo ha capito pure il premier Matteo Renzi, che non sembra avere impresso velocità al dossier che giace inanimato da troppo tempo, perché considerato una "bagatella". Si scherza, certo, ma il tema è serio più che altro per la passività della politica italiana, perché su certe questioni non ci si può lamentare del parassitismo della burocrazia e del tono troppo felpato della diplomazia, perché quando, invece, ci sono interessi materiali cospicui sui confini e la loro fissazione bilaterale le cose vanno diversamente e si viaggia con gran velocità e si rompono pure delle uova nel paniere senza troppi scrupoli, ammesso che poi fosse chiara la posta in gioco e cioè una questione seria "di pani e di pesci" (inteso come sussistenza per pescatori italiani). Un caso di questi giorni è esemplare ed è diventato di dominio pubblico per una vicenda di cronaca, quando mercoledì 19 gennaio al largo di Sanremo la Gendarmerie francese, con l'accusa di esercitare la pesca del gambero rosso in acque francesi, blocca manu militari una barca di pescatori liguri, il "Mina" salpato dal porto di Sanremo. Situazione analoga, ma solo con censure alle barche "fuorilegge", avviene per pescherecci sardi da parte delle autorità francesi. Si scopre così che esiste un accordo internazionale firmato dal ministro degli esteri francese Laurent Fabius e da quello italiano Paolo Gentiloni il 21 marzo 2015 con evidente vantaggio per i francesi che ottengono diritti esclusivi in zone molte pescose, tradizionalmente battute dagli italiani. L'accordo pare sia già stato ratificato dalla Francia, ma non ancora dal Parlamento italiano e questo - Costituzione alla mano - rende la vicenda ancora non conclusa in barba agli occhiuti controlli francesi. Il sottosegretario per gli affari esteri e cooperazione internazionale, Benedetto Dalla Vedova, ha spiegato a chi protestava - in primis le Regioni Liguria e Sardegna - che l'accordo è utile, perché colma un vuoto giuridico, avendo una portata generale e riguardando "i mari territoriali, la piattaforma continentale e le acque sotto la giurisdizione" dei due Paesi. Esploso il bubbone, ora pare che anche i francesi siano più cauti nel "fermare" i pescatori liguri e sardi, perché si sono resi conto di avere messo il dito in un vespaio. Ma resta la sostanza: il Monte Bianco può attendere, il Mar Mediterraneo si risolve, probabilmente male, ma lo si risolve.
P.S.: ora si tratterebbe di non ratificare l'accordo, mettendo però in ridicolo il Governo Renzi. Leggo di parlamentari sardi che dicono «abbiamo fatto approvare un ordine del giorno!». In Parlamento, un ordine del giorno (come un sigaro o una commenda) non si nega a nessuno, per la loro inefficacia reale.