Ieri in Slovenia, con un incontro ufficiale definito un pochino pomposamente "lancio", è proseguito il cammino della Strategia macroregionale alpina, di cui ho parlato tante volte fin dai primi vagiti, ormai parecchi anni fa. Oggi il vecchio sogno vede coinvolti nella realtà sette Paesi, cinque dei quali membri dell'Unione Europea (Austria, Francia, Germania, Italia e Slovenia) e due non membri (Liechtenstein e Svizzera), e 48 Regioni, Valle d'Aosta ovviamente compresa. Anche se l'unico valdostano che ha parlato in questa assise "di partenza" a Brdo non è stato un politico - per altro il presidente Augusto Rollandin, che non c'era, è anche membro del "Comitato delle Regioni" - ma un dirigente regionale. Boh!
Ma torniamo a "Eusalp" (in inglese "EU strategy for the Alpine region"), che i francesi in ossequio alla loro lingua e contro lo strapotere dell'inglese chiamano "Suera" ("Stratégie de l'Union européenne pour la Région alpine"). Fatemi ricordare come - in linguaggio comunitario e per evitare equivoci sulla nascita di un nuovo livello istituzionale di governo - la "strategia macroregionale" sia un quadro integrato sostenuto dal Consiglio Europeo, finanziabile anche ma non solo dai Fondi strutturali e di investimento europei, Si tratta - così si è detto sin dall'inizio - di affrontare le sfide comuni di un'area geografica specifica relative agli Stati Membri e ai Paesi Terzi localizzati nella stessa area geografica che traggono beneficio da una cooperazione rafforzata contribuendo al raggiungimento della coesione economica, sociale e territoriale. Per ora sono quattro, in ordine di apparizione: il mar Baltico, il fiume Danubio, il mare Adriatico e appunto le Alpi. In una scheda ufficiale così si riassume quest'ultima esperienza ancora in costruzione: "La Regione alpina è composta da territori con trend demografici, sociali ed economici diversi e un'ampia diversità culturale e linguistica. Questa diversità si accompagna ad un'ampia varietà di sistemi di governance e tradizioni. Sia le specificità comuni della regione alpina che la sua varietà e diversità richiedono cooperazione. La Regione alpina rappresenta lo spazio di vita e di lavoro per la popolazione residente e una destinazione turistica che attrae milioni di visitatori ogni anno. Le Alpi rappresentano un serbatoio d'acqua per l'Europa e sono note in tutto il mondo per la loro bellezza naturale, paesaggi variegati, ricca biodiversità e patrimonio culturale. La Regione alpina è un territorio unico, con un potenziale di dinamicità importante, ma che deve far fronte a grandi sfide, quali:
- la globalizzazione economica, che richiede che il territorio si distingua per competitività e innovazione sviluppando la società della conoscenza e dell'informazione;
- i trend demografici, caratterizzati in particolare dagli effetti combinati dell'invecchiamento della popolazione e dei nuovi modelli d'immigrazione;
- i cambiamenti climatici e i loro prevedibili effetti sull'ambiente, la biodiversità e le condizioni di vita dei suoi abitanti;
- le sfide energetiche su scala europea e mondiale, che consistono nel gestire e soddisfare la sostenibilità della domanda, in modo sicuro e accessibile a livello economico;
- la sua specifica posizione geografica in Europa, come regione di transito ma anche come area con caratteristiche geografiche e naturali uniche, che definiscono il quadro per tutti gli sviluppi futuri". Mi fermo qui, anche se nell'ingegnosa capacità di costruzione di documenti dell'Unione europea nel suo insieme si potrebbe andare avanti ancora molto, ma quel che conta è già stato detto. Restano a mio avviso ancora tre problemi, che si aggiungono al fatto, non secondario, di una crisi profonda dell'Unione europea che si manifesta oggi con il rischio di dissolvimento degli accordi di Schengen e altre magagne. Il primo riguarda la geografia della macroregione. Io sin dall'inizio non ho avuto obiezioni su di una geometria variabile, che consentisse di avere un'area alpina propriamente intesa come zona di montagna ed un'area più vasta comprendente anche alcune grandi città legate storicamente all'area alpina. Questa "convivenza" fra Monte e Pianura va tuttavia chiarita sin da subito per evitare che le aree urbane, forti anche nei numeri e nei centri di potere, monopolizzino in una logica quasi colonialistica, anche di sfruttamento delle loro risorse, le zone montane, considerandole prone. La seconda, frutto anche della lezione dell'ancora vigente "Convenzione alpina", è capire - nelle grandi scelte - che il "boccino" non finisca troppo nelle mani dei tecnici e degli esperti, la cui neutralità per altro è evidentemente dubbia. Che ci sia dunque un ruolo degli eletti, specie locali, e modalità di reale coinvolgimento delle popolazioni, soprattutto quelle interessate dalle singole misure che potranno essere adottate, in particolare lungo il filone dei fondi comunitari e del loro utilizzo. Democrazia, insomma, e quel principio di sussidiarietà che eviti che sia solo la taglia a fare il peso politico. In questo senso, il terzo punto: per il sistema autonomistico alpino l'occasione è utile per permettere a Regioni e ad Enti locali di confrontarsi con le esperienze federalistiche più avanzate e per capire quali possano essere le vette da raggiungere nella valorizzazione della democrazia di prossimità. Non si tratta perciò di giochicchiare, come talvolta si fa in Italia: c'è chi approfitta di una macroregione europea per ridar vita agli stolti progetti di macroregioni in Italia o chi l'utilizza per agitare per la sparizione di Autonomie speciali alpine in una logica di abbassamento globale degli spazi di autogoverno, quando invece dovrebbe valere l'impegno per una progressione per tutti. Bisogna salire, non scendere: questa è l'eguaglianza.