Difficile spiegare ad un non valdostano che cosa sia la "Fiera di Sant'Orso", puntuale anche quest'anno il 30 e il 31 gennaio, come da tradizione. Le definizioni potrebbero sprecarsi e ognuno potrebbe tirare la coperta dalla sua parte, a seconda delle preferenze. Per me, ad esempio, siamo di fronte al gigantismo dell'Artigianato tipico: una kermesse che mette tutto in campo, dall'eccellenza alla banalità, senza eguali sul resto delle Alpi per varietà di prodotti e incredibile numerosità di partecipanti, rispetto soprattutto al numero esiguo della nostra popolazione.
Un grandissimo "minestrone", che rende difficile una degustazione minuta, perché - specie quest’anno con l’affollamento da sabato e domenica - si viene trascinati dalla folla (persino con sensi unici per evitare scontri e ingorghi) e questo vuol dire fare una specie di abbuffata. Come se si trattasse di un film a ritmo accelerato, visibile in certe comiche alla Charlot. Anche se oggi l'immagine più paciosa potrebbe essere - ma le norme aeronautiche lo vietano per l'assembramento di persone - vedere quel fiume di gente dall'alto con le riprese filmate da un drone.
Per altri può essere una soggettiva, proprio nel senso appena spiegato di visioni personali di una folla immensa: son così tanti ad andare come espositori di vario genere alla Fiera da essere attori protagonisti, ciascuno con la propria visuale. Tutti assieme si compone un puzzle, fatto di diverse storie. C'è chi va per far festa e dunque in fondo il percorso espositivi conta poco: parecchi non vedono l'ora di infilarsi nelle cantine per una immersione alcolica e gastronomica, che sarà meno elitaria di un tempo - quando le cantine erano soprattutto ad invito - ma questa è la dura legge del mercato: a molta domanda risponde un'offerta. Esiste poi, per analogia, una Foire delle retrouvailles, cioè della rimpatriata: ogni anno si incontrano persone che difficilmente si incontrano nel resto dell'anno. Può capitare per espositori da decenni vicini di banco o anche fra amici che, provenienti dalla vallate diverse, sanno che lì si possono incontrare in quel clima di amicizia diffusa che la Fiera crea come una magia di folla. Questo andare sulle tracce di un déjà vu esiste anche per i turisti che pervicacemente dall'Italia o dalle vicine Regioni francofone piombano sulla Sant'Orso, come si fa con un avvenimento caro, la cui ripetitività ha qualcosa di rassicurante, un perimetro conosciuto, una zona mappata, che consente - magari trascinandosi dietro dei neofiti - un percorso che arricchisce di anno in anno le proprie conoscenze. Ma con la tranquillità di essere ormai parte di un meccanismo complesso all'insegna dello svago e del divertimento. Per me, che sono tornato a fare il mio mestiere in radio ed in televisione, è una specie di ritorno al passato, avendo vissuto la Foire con altri ruoli ufficiali, che ti creano percorsi obbligati e protocollari, mentre oggi ci si aggira con scelte più autonome e percorsi meno determinati. Ma questo non sposta di una virgola il fascino della Foire, fatta di pregi e di difetti, di nostalgie e di speranze. Una specie di corpaccione, sempre simile ma anche nuovo, che dà un'immagine della Valle d'Aosta, anch'essa con i suoi pro e i suoi contro. Quel che è certo è che non può per nulla lasciare indifferenti.