Bisogna guardare ai temi più grandi che ci sovrastano, per quanto difficili possano essere, per alimentare la voglia di occuparsi di politica, specie quando la politica come espressione alta rischia di impantanarsi nelle sabbie mobili delle piccinerie. L'Europa e il suo destino: questo è un argomento serio per il quale non si può provare disinteresse. Oggi al centro della scena c'è lo "spazio Schengen" e quell'aspetto, assieme concreto e simbolico, derivante dall'abolizione dei controlli alle frontiere per tutti i viaggiatori europei e dei Paesi terzi, salvo il manifestarsi di circostanze eccezionali, come hanno fatto - sulla spinta dei problemi legati alle migrazioni massicce e agli spostamenti nell'Unione - Svezia, Austria, Danimarca e solo in parte la Germania. Ora questi stessi Paesi, al vertice europeo, chiedono - con l'aggiunta Francia e Norvegia - di "sospendere" l'accordo per due anni. Si sa che non c'è niente di più definitivo del provvisorio.
Così si incrina e forse tramonta la logica dello "spazio Schengen", nato nel 1985 nella piccola località del Lussemburgo e attualmente composto da ventisei Paesi, di cui ventidue membri dell’Unione europea e quattro non membri (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera). Non ne fanno parte Bulgaria, Cipro, Croazia, e Romania, per cui il trattato non è ancora entrato in vigore, e Irlanda e Regno Unito, che non hanno aderito alla convenzione esercitando la cosiddetta "clausola di esclusione" (opt-out). La caduta delle frontiere interne ha reso necessario il rafforzamento delle frontiere esterne dello "spazio Schengen" ed una più forte cooperazione fra le Polizie dei diversi Stati aderenti, lasciando aperta la finestra a possibile sospensioni del trattato a seguito di una "minaccia grave per l'ordine pubblico e la sicurezza interna" o da "gravi lacune relative al controllo delle frontiere esterne" che potrebbero mettere in pericolo "il funzionamento generale dello spazio Schengen". Da qui la richiesta di stoppare tutto per due anni, lasciando i Paesi maggiormente colpiti dall'arrivo dei migranti mercé di una nuova tratta - cioè Italia e Grecia - in una situazione di evidente difficoltà e anche di assunzione di responsabilità per quanto non hanno fatto, perché l'Europa sarà pure inerme ma bisognerebbe anche fare un esame di coscienza sui meccanismi concordati e non rispettati, tipo gli hotspot, le strutture tanto attese per identificare rapidamente, registrare, fotosegnalare e raccogliere le impronte digitali dei migranti. Quel che e grave è che di fatto sta venendo meno la volontà di una politica comune sull'immigrazione e cresce la tentazione di militarizzare sempre più le frontiere esterne. Mentre il ripristino dei controlli alla frontiera caduca il significato profondo di libera circolazione dei cittadini e mostra come non sia affrontato, fra buonismo e inefficienze, il tema dell'immigrazione (e dei connessi problemi di infiltrazioni terroristiche) che come uno tsunami si abbatte sull'Europa, complice una comunità internazionale che non riesce a risolvere le molte vicende tragiche in corso nel mondo, oltreché il perpetuarsi di regimi politici liberticidi, così come la povertà che ammorba larga parte dei Paesi del Terzo e Quarto mondo e il diffondersi del cancro dell'estremismo islamico. Così l'Eldorado - ma anche il nemico degli islamisti - è rappresentato dall'Occidente, che non riesce a trovare misure serie per regolare un flusso epocale che, senza raziocinio, alzerà muri - fisici, sociali e psicologici - di tutti i generi e nello stesso modo ha sottovalutato Isis et similia. E in Europa prende sempre più piede l'idea di un'Unione di "serie A" e di un'altra di "serie B": l'Italia è - purtroppo - destinata alla serie cadetta.