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18 lug 2014

Il dramma sul Bianco

di Luciano Caveri

Ferdinando Rollando, guida alpina ligure-valdostana, è disperso sul Monte Bianco, ormai da giorni, con un giovane cliente di quindici anni. Si profila, purtroppo, una tragedia. Avevo visto Ferdinando, che nella vita era anche architetto ed era stato impresario, poche settimane fa. Era venuto per aggiornarmi su "Alpistan" (il suo progetto sullo sci, la montagna e la protezione civile in Afghanistan) e parlarmi del più e del meno: io con lui, che è sempre stato genio e sregolatezza, avevo sempre avuto un rapporto complicato. Lui chiacchierava e sognava (riuscendo anche a trasformare idee in azioni, come con certe intuizioni su "Alpistan"), io lo riportavo spesso coi piedi per terra, senza fargli sconti. Sin da quando veniva a trovarmi a Bruxelles, all'epoca del Parlamento europeo, raccontandomi storie spesso fantasiose. Finivo appunto per essere - ma penso non gli dispiacesse - una specie di "avvocato del diavolo" rispetto al suo entusiasmo, ma poi si lasciava andare a confessioni - lo faceva con un sorriso sfrontato di fronte a certe vicissitudini - del genere, quando tornava in Italia, «purtroppo non ho una lira!» (ma il suo modo di vivere parco non ne risentiva) oppure, raccontando di qualche rischio preso in Afghanistan, «sarà meglio che faccia più attenzione». Lo ricordo così, perché penso che gli farebbe schifo essere nella memoria come una statuina di un presepe. Ci eravamo ripromessi di vederci dopo la stagione estiva. Ma, purtroppo, penso che non lo rivedrò. Avevamo parlato in passato di amici comuni morti in montagna: considerava questo uno dei rischi del suo mestiere, ma penso lo dicesse per esorcizzare la possibilità, purtroppo sopraggiunta con una tempesta di neve in piena estate, laddove la Natura sa essere meravigliosa, ma anche implacabile. Il 1 gennaio 2014 mi aveva scritto, in copia con alcuni altri: "quest'anno che è passato molto ha dato e molto ha preso, anche a me come a tutti voi. Un anno di lavoro dedicato alle persone che abitano le montagne dell'Afghanistan ha dato gioia, speranza e coraggio a persone che non ne avevano. Tanta energia, tanta vita è cresciuta attorno alla speranza e al coraggio di pochi: è stato bello far parte di questo progetto che si chiama "Alpistan". Due episodi di violenza, il primo luglio e il 15 novembre, hanno messo in grave pericolo me stesso e le persone a me affidate, ferendo la gioia e il coraggio. Agli amici che si sono preoccupati per me durante lo scorso anno, prometto che i pericoli che sono alle spalle ci hanno insegnato una nuova prudenza. "Alpistan" si sta rafforzando in Italia e in Europa, per aiutare meglio chi lavora in Afghanistan e presto su altre montagne della terra scassate dalla violenza degli uomini. Attorno al progetto "Alpistan" è nato un bel gruppo che lavora con gioia, con speranza e con coraggio. Abbiamo davanti difficoltà che ci stimolano a fare meglio e di più. Il 12 gennaio ripartirò per Kabul, dopo tre settimane in Italia, riposato, sereno, circondato e protetto dall'affetto di una donna, di una famiglia, di un gruppo di amici veri. Dieci giorni ancora per fare il "pieno" di cose belle". Invece, il giorno di Natale del 2012 mi aveva scritto: "gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà. Sono di ritorno da un viaggio in uno dei posti più poveri e sperduti dell'Afganistan (Miramor - Daikondi) dove abbiamo visitato e studiato le valanghe che hanno ucciso nello scorso inverno, questa foto (n.d.r.: quella pubblicata) è la mia preghiera di Natale, questi sono i miei auguri. Lasciamo a Dio questo ampio cielo blu, lasciamoci guidare e incoraggiare da lui, ma non chiediamogli il permesso di uccidere il nostro vicino o il molto lontano da noi. Occupiamoci della pace e non della gloria su questa terra, non della nostra gloria personale, non di quella della nostra nazione o della nostra religione. C'è tanto da fare per rimettere un po' di pace in circolazione. Senza pace non avremo il benessere a cui aspiriamo. Cerchiamo la pace in noi stessi guardando il cielo. Svegliamoci presto al mattino per portare un po' di pace attorno a noi. Non c'è pace nella miseria. Non c'è pace nella paura. La paura e la miseria sotto il nostro unico cielo non ci consentono e non ci consentiranno di vivere bene. Qui è una giornata normale di lavoro, a parte gli Internazionali, presenti al trenta per cento e operativi al dieci per cento. Ho cercato di lavorare in modo natalizio e ora a tarda sera posso dire che è andata bene: sono riuscito a fare la pace con una persona e con un'istituzione con cui avevo litigato di recente". Questo era Ferdinando: un sognatore bizzarro dagli occhi chiari, nato in Liguria (era stato 2011 a Vernazza ad aiutare i familiari dopo l'alluvione) e ora lassù, chissà dove, sul Monte Bianco. Un pensiero addolorato anche per il suo giovanissimo compagno di cordata, trovatosi, per la sua passione per l'alpinismo, in circostanze su cui è inutile indugiare. Senza nascondere, però, il fatto che Ferdinando ha probabilmente sbagliato a lasciare il rifugio "Gonella" per tentare il Monte Bianco con cattive previsioni meteo. Temo - specie quando si capirà la dinamica esatta dei fatti - che abbia avuto il tempo, nelle successive ore, drammatiche anche per un professionista della montagna, di rifletterci. In Afghanistan - mi raccontava - usavano tutti, sempre e comunque, la celebre espressione fatalistica musulmana, presente in altre religioni, e applicabile anche in questo caso: «Inshallah - se Dio vuole»...