Sono stato candidato due volte alle elezioni europee, nel 1989 e nel 1999: la prima quando "Federalismo" ottenne l'eletto nella circoscrizione "Isole", ma i sardisti non fecero la rotazione a mio vantaggio (ero arrivato terzo nelle Isole come voti di preferenza), la seconda quando l'Union Valdôtaine ed suoi alleati fecero l'apparentamento coi "Democratici" nel nord-ovest ed ottenni il seggio un anno dopo. So dunque bene che cosa significhi una campagna elettorale di questo genere. Per questo, in vista delle urne, non invidio il candidato di area autonomista, inserito nella lista del Partito Democratico del nord-ovest, Luca Barbieri, cui va il mio sincero "in bocca al lupo" ed il riconoscimento di aver affrontato questa sfida senza mai perdere il buonumore. Naturalmente gli auguro anche il miglior successo: se riuscisse ad essere eletto, avrebbe l’occasione di vivere un'esperienza straordinaria, come personalmente ho avuto la fortuna di fare. In un colloquio sui temi dell'Europa, all'inizio di questa avventura politica, oltre a fornirgli i miei punti di vista - spero risultati utili - sui maggiori problemi sul tappeto per la Valle d'Aosta in chiave comunitaria, gli avevo proprio detto di risparmiare le forze per evitare di arrivare in fondo stremato. Se già le elezioni politiche sono un'avventura molto solitaria per chi incarna il progetto politico, le "europee" fanno i conti con l'inserimento della Valle nella gigantesca circoscrizione elettorale, che somma la nostra regione con Lombardia, Piemonte e Liguria. Una scelta sciagurata, che risale alla legge del 1979, e che mette la Valle d'Aosta in una situazione assurda, dovendo i candidati locali, qualunque sia la formula prescelta per la loro partecipazione alla sfida elettorale, trovarsi in competizione con candidati di regioni enormi e popolose. Una discriminazione, venata da profili di incostituzionalità, anche sotto il profilo della tutela delle minoranze linguistiche, che bisognerebbe in qualche modo denunciare alla Corte Costituzionale. Questa volta penso che la fatica sia, comparativamente, ancora peggiore che in passato, perché sulle elezioni europee è calata una generale indifferenza ed il grande agitarsi della politica italiana non riguarda affatto Bruxelles e le vicende continentali, ma quanto l'esito del voto (o del "non voto") influirà sui destini italiani. Inoltre, come una cappa di polvere, si è depositata un pesante coltre di antieuropeismo sul cammino dell'integrazione europea, di cui l'Unione europea è in parte responsabile. Mille volte in occasioni pubbliche ed in incontri privati, negli anni in cui mi sono occupato d'Europa, prima al Parlamento europeo e poi al "Comitato delle Regioni", avevo ammonito politici e funzionari di quanto la distanza che si stava creando fra le Istituzioni europee ed i cittadini prima o poi avrebbe cagionato un'incrinatura profonda. A questo generale senso di mancanza di democrazia si è sommato, come uno tsunami, la crisi economica, che ha mostrato la debolezza politica del progetto europeo e le tante fragilità si sono ritorte contro l'Europa con campagne del tutto ingiustificate, come le leggende metropolitane che aleggiano contro l'euro, diventato simbolo di tutti i mali con l'uso delle teorie le più bislacche. Ma si sa che nei momenti difficili, fatti da pance e qualche cervello vuoti, non c'è limite al peggio e certi temi elettorali fanno venire i brividi e temere il peggio. Ma l'Unione europea, progetto nato dalla mente di persone visionarie come riscatto verso un vecchio Continente insanguinato - come ultimi anelli di una tragica catena - dalle Guerre mondiali, saprà superare certe difficoltà, ma deve riflettere sul suo modello politico. Si torna così sempre e inevitabilmente al federalismo e alla sussidiarietà, senza i quali ci aspetteranno tempi grami.