Ognuno penso che abbia nel cassetto una festività da sopprimere. Poi, nella logica italiana del "do ut des", tira da una parte e tira dall'altra, c'è chi si tiene la sua e digerisce la festività altrui. Non mi metto qui a fare la storia del 1° maggio, se non ricordando che alle radici statunitensi segue, come codificazione in Europa quale festività, l'ufficializzazione della data da parte dei delegati socialisti della Seconda Internazionale, riuniti a Parigi nel 1889, con tanto di spiegone sui perché. In Italia, se ho ben capito, la festività nel Regno d'Italia divenne operativa dal 1891 ed è sempre rimasta tale, tranne che per la soppressione nel periodo fascista, quando venne valorizzato, invece, il Natale di Roma, il 21 di Aprile, per alimentare la ridicola prosopopea del regime. Nel 1945 torna la festività già dell'Italia liberale, che pian piano perde di velocità e diventa sempre più un giorno da gita fuori porta e da scampagnata, svaporando impegno e militanza. Le rare manifestazioni rimaste sono nel clima della ufficialità fra addetti ai lavori e con qualche curioso che segue, specie se c'è la banda musicale che fa sempre allegria. Dal 1990 i sindacati confederali "Cgil", "Cisl" e "Uil", in collaborazione con il Comune di Roma, organizzano un grande concerto - fattosi nel tempo grandioso - per celebrare la festività, rivolto soprattutto ai giovani ed è un fatto meritevole, pensando che ormai la gran parte degli iscritti al sindacato sono pensionati, come molti al vertice... Il "concertone" si svolge in piazza San Giovanni, dal pomeriggio a notte, con la partecipazione di molti gruppi musicali e cantanti (quest'anno anche i "nostri" "Orage") ed è seguito da un gran pubblico, oltre a essere ritrasmesso in diretta televisiva dalla "Rai". Una bellissima festa, che però è anche una capitolazione sui contenuti. Malgrado tutti gli alibi e l'aria "alternativa", che aleggia sullo spettacolo siamo sul terreno del "panem et circenses" per rinvigorire una festività decotta, in un tempo in cui, per altro, tutte le festività "civili" arrancano. Certo un po' spiace perché se le origini ottocentesche sono negli anni dell'affermazioni dei diritto fondamentali dei lavoratori, quelli di oggi dovrebbero - con la ferocia di un calembour - riguardare il dramma del "non lavoro", cioè non solo della disoccupazione nuda e cruda, ma anche di quelle forme di precariato cronico - che si nascondo dietro il volto bonario della flessibilità - che segnano in particolare le giovani generazioni e chi, a qualunque età, si trovi espulso da un posto di lavoro a tempo indeterminato. Certo che di questi argomenti si parla anche il 1° maggio, ma sono discorsi ufficiali che scivolano via in fretta, mentre il tema - al posto di perdere tempo con grandi voli pindarici su riforme e affini - dovrebbe essere la priorità assoluta contro povertà e disperazione, che nessun "concertone" aiuta a risolvere.