Ricordo, nelle mie sere romane, gli incontri con un valdostano ormai "romanizzato" nell'accento, pur provenendo da un'antica famiglia aostana. Parlo di Fulvio Marcoz (rassegnato a Roma a pronunciare il suo cognome «Márcoz» con la "zeta" in evidenza per evitare ogni volta di fare lo "spelling"), che è stato il primo laureato come Ingegnere elettronico proveniente dalla Valle d'Aosta al "Politecnico" di Torino. Fulvio è un uomo "savant" d'altri tempi, che mischia una profonda cultura scientifica ad una consapevolezza umanistica molto solida. Un filone che trovavo appassionate sul suo lavoro nel "Gruppo Finmeccanica" era la conversione al settore civile delle scoperte dapprima applicate al settore militare. Ricordo come, più di una ventina di anni fa, propose - mio tramite - alla sua Regione d'origine un centro per l'utilizzo dei dati di provenienza dai satelliti, nati appunto per uso militare e poi adoperati in mille altri campi. Il presidente di allora, che è lo stesso dimissionario di oggi, non colse la straordinaria opportunità, come avvenne poi per altre occasioni, malgrado il mito da "superuomo" - addirittura di nietzschiàna memoria - che ancora qualcuno coltiva. Idem capitò per l'accordo quadro con "Finmeccanica" - auspice lo stesso Marcoz - finito nella pattumiera per evidente disinteresse o forse incomprensione delle opportunità in campo. Ma dicevo delle tecnologie che, nate per guerre e battaglie, diventano utili per usi non violenti. Senza tornare alla notte dei tempi e al cammino dell'umanità, fatta di invenzioni perniciose volte poi in uso diverso, penso alla modernità: dal computer ad Internet, dall'aeronautica alle biotecnologie, dal radar ai tessuti sintetici e l'elenco potrebbe essere lungo e dettagliato. Io trovo - come uno degli ultimi trasferimenti - molto interessante quell'oggetto volante, che è il drone. Nell'ottimo sito terminologiaetc.it di Licia Corbolante così si argomenta: "Il significato più antico di drone in inglese è fuco, il maschio dell’ape, da cui deriva il verbo che descrive un ronzio (e anche un parlottio monotono). Il lessicografo Ben Zimmer in "The flight of "Drone" from bees to planes" smentisce però l'etimologia popolare che il velivolo debba il nome al ronzio che produce. L'origine è militare: negli anni '30 del secolo scorso la marina britannica aveva sviluppato un bersaglio telecomandato per esercitazioni di tiro derivato dal biplano "DH 82 Tiger Moth" ("falena tigrata") e denominato "DH 82B Queen Bee" ("ape regina"). La marina americana si era basata sul "Queen Bee" per costruire un proprio modello che in omaggio all'originale aveva chiamato "Drone" ("fuco"), continuando così il tema entomologico. Durante la seconda guerra mondiale alla produzione di bersagli telecomandati ("target drone") si era aggiunta quella di velivoli per operazioni militari ("assault drone") che nei decenni seguenti si sono evoluti in diversi tipi di velivoli senza pilota, di dimensioni anche molto ridotte e impiegati non solo per scopi militari ma anche civili, ad esempio per monitoraggi e riprese aeree di vario tipo (e non va dimenticata la fantascienza!). E' con questa accezione generica che la parola "drone" è entrata anche nel lessico comune italiano". Mi scuso per la lunga citazione e ringrazio l'autrice. Osservo che questi droni possono essere preziosi per diverse formule di controllo del territorio, come avvenuto per la frana di La Saxe, e anche per l'ordine pubblico come si sta facendo a Trento, ma ancora - ma non vi tedio con il mio lavoro - possono risultare molto innovativi per le riprese televisive. Osservavo ieri con dei coetanei come la nostra generazione, con le tecnologie innovative alle calcagna, ne ha viste e ne vedrà delle belle!