Una volta mi capitava, magari in vacanza, di rispondere alla domanda su quale mestiere facessi e per molti anni non ho avuto dubbi nel rispondere con voce chiara: «Il politico». Poi, se capitava, declinavo il mio curriculum, in fondo contento di aver potuto fare una serie di esperienze significative. Convinto come sono che, se pure la politica è attività effimera nella sua intrinseca durata indeterminata, vada fatta con professionalità e preveda apprendimento e esperienza. Oggi è raro che mi esprima, ripiegando sul termine, per altro vero, di "giornalista" (un giorno scriverò come anche questo mestiere abbia vissuto una perdita secca di credibilità). I politici, in Italia, hanno fatto di tutto per farsi odiare e le cronache di questi giorni sembrano solo l'epilogo conclusivo, come la glassa su di una torta avvelenata. Di fronte ad un cumulo di fatti, rovinosi come una valanga, non resta che arrendersi, perché chiunque voglia fare dei distinguo rischia di essere messo in un tritacarne e finire in polpette. Giuro, però, che è un peccato. Cari lettori, come alcuni sapranno il sottoscritto è finito in politica per caso, essendo la mia passione divorante sin da ragazzino il giornalismo. Chissà se la vita avesse preso un’altra piega cosa avrei fatto, magari nulla o magari qualcosa di interessantissimo. Fatto sta, comunque, che nei lunghi anni di impegno politico mi sono convinto di un paio di cosette che qui sintetizzo. La prima è che non esiste alternativa alla democrazia. Banale, forse, ma con i "chiari di luna" che ci sono è bene dirlo. La seconda è che la politica coinvolge ottime persone che nell'attività giocano il loro impegno e la loro reputazione, ma esistono anche persone che sono attirate dalla politica per affarismo o per trovarsi un lavoro remunerato. La terza è che qualunque scelta politica o amministrativa (la politica è ideale e detta la linea, mentre l'amministrazione dà gambe alle idee) è opinabile e il rapporto maggioranza e opposizione è una dialettica sana che alimenta la competizione e migliora a progettualità. L'ago della bilancia dovrebbe essere l'insieme dei cittadini, che nella scelta dei propri eletti – se crediamo in una democrazia rappresentativa e io ho premesso di crederci – dovrebbe optare per i migliori e i più competenti (che non ha che fare con il titolo di studio, ma può essere anche frutto di buonsenso o spirito pratico), se reso fattibile da leggi elettorali che consentano meccanismi di reale scelta. Poi si sa che la guerra delle preferenze trasforma questa possibilità in una guerriglia che scatena clientele e persino mercato dei voti, roba da far piangere chi si è battuto per il suffragio universale. Meglio in questo senso i collegi uninominali, che possono spezzare le pastette e creare sorprese. Capisco che qualcuno potrebbe dirmi: «fai la verginella dopo aver avuto a che fare con degli orchi». Per carità, verissimo. Non mi sono mai sporcato le mani, ma qualche "zaffata" l'ho sentita e ho avuto anche grosse delusioni personali. Ma questo – fatto salvo che al mattino posso guardarmi in faccia nello specchio dove mi faccio la barba - non mi spinge verso il qualunquismo, l'anti-parlamentarismo, la demagogia spicciola, la "logica dell'Aventino" e le altre molteplici varianti come reazione rabbiosa alla crisi democratica. Mi limito a pensare che ci sono gli antidoti giusti per quasi tutti i veleni e anche in Italia un giorno "essere politico" smetterà di essere qualcosa di cui vergognarsi. Nessuno pretende di avere strade o vie dedicate e tanto meno, come i deputati valdostani ottocenteschi, targhe o statue, ma da lì a doversi considerare un reietto un pochino ci passa.
P.S.: In queste ore Alberto Zucchi - "dominus" odierno del Popolo della Libertà - parla di me su "La Stampa", interpretando le mie posizioni e le mie scelte. Non ne ho bisogno, posso fare da solo senza esegeti strumentalmente interessati. Le sue parole confermano che al PdL - che aveva chiesto la Presidenza del Consiglio con veemenza assieme a un nuovo patto di legislatura - sono state garantite in cambio della fedeltà: a) una candidatura "indipendente" ma di area loro alle politiche; b) l'alleanza per le prossime regionali. Questo è il nodo politico.