Il prossimo anno, il 28 febbraio, data simbolo della nostra Regione dopo l'abolizione di fatto della "Festa della Valle d'Aosta", si ricorderanno i 65 anni dello Statuto d'autonomia. Festeggiamento utile, ma dalla profondità storica risibile per la storia millenaria della Valle, su cui è bene fare mente locale e la Festa serviva ad "agganciare" la storia contemporanea a tutto quanto c'era stato prima, che non è mai da dimenticare. Si tratta, comunque, di una celebrazione utile quella dello Statuto, che avverrà a pochi mesi dalle prossime elezioni regionali e forse in piena campagna elettorale per le politiche. Occasione per discutere del nostro ordinamento attuale e soprattutto del clima attuale - greve e ostile - che circonda le autonomie speciali. Trovo singolare dei giochi della Storia, che nei suoi percorsi somiglia ogni tanto ai passaggi contorti e spiazzanti di un dedalo in cui ci si perde, che i valdostani - o almeno una parte di essi - si trovino a difendere quell'autonomia speciale che allora, all'epoca dell'emanazione dello Statuto, venne considerata poca cosa rispetto alle speranze maturate negli anni precedenti, specie nelle proposte emerse nel dibattito qui in Valle e poi annacquate alla Costituente. E comunque così è: lo Statuto "imperfetto" e migliorato un poco con alcune modifiche di cui sono stato autore materiale è sempre più - fallita la prospettiva di un federalismo per tutti - una sorta di ancora di salvataggio nel mare agitato in cui la "nave Italia" sta andando alla deriva. Lo dico conoscendo i limiti strutturali dello Statuto, le sue parti disattese e le "invasioni di campo" delle funzioni e competenze di fonte europea e nazionale. E lo dico anche conoscendo errori passati e presenti nell'interpretazione che noi stessi abbiamo dato della nostra autonomia. Dobbiamo essere lucidi e crudi anche in questa analisi. Le norme statutarie, che comprendono le norme d'attuazione, sono materia vivente che ha agito differentemente nel clima politico lungo i decenni successivi alla sua entrata in vigore. Mi è capitato in conferenze di vario genere di cercare di rendere comprensibile questa materia, che è frutto giuridico dell'intrico di passioni che la "questione valdostana" suscitò dopo il fascismo e che oggi troppo spesso nella pubblicistica italiana viene banalizzata o derisa. L'autonomia speciale va difesa: l'ho fatto nel mio percorso politico, cercando spazi nuovi, dopo essermi convinto che solo un'"autonomia dinamica" - in continuo movimento nel dibattito interno e con le istituzioni "esterne" - può avere un reale significato. E' con dispiacere che prendo atto che il clima attorno a noi ha impedito una riscrittura dello Statuto per adeguarlo ai tempi. Da Presidente della Regione proposi una "Convenzione" a carattere costituente che non arrivò a conclusioni davvero modificative non perché mancassero idee o proposte, fra regionalismo e federalismo, ma perché per toccare lo Statuto ci vuole un presupposto. Questo presupposto è il principio dell'intesa, che eviti che un testo approvato dal Consiglio Valle finisca al Parlamento, che lo deve approvare con la procedura rinforzata di una legge costituzionale, e corra il rischio - senza un placet finale della Regione stessa - di essere svuotato o stravolto nel corso dell'iter alle Camere. Specie in momenti come questi, in cui buona parte potere politico e amministrativo centrale considera, con aiuto di giornalisti e professori, la diversità delle "speciali" come un'anomalia da sopprimere nel quadro di un generale ridimensionamento dei poteri locali. Il modello è riaffermare uno Stato centralista, che resiste solo più nei Paesi variamente autoritari, ma questo in questa fase sembra importare poco, Una deriva terribile e stupida, accarezzata da "poteri forti" di varia fatta e che è difficile contrastare perché in fondo larga parte dell'opinione pubblica è ormai schifata da politica e distante dalle istituzioni e pronta - anche con l'indifferenza e non solo con l'indignazione - alla soluzione di un "uomo forte" che tutto aggiusti. Una soluzione salvifica a causa di una democrazia malata e poco conta che questo comporti un cieco effetto distruttore: non sarebbe la prima e l'ultima volta che la democrazia cannibalizza sé stessa e lo farebbe questa volta in un misto statalismo-nazionalismo letale per le autonomie speciali e per ogni altra istituzione locale. Roma, simbolo dolente e inefficace della democrazia italiana, rivuole il suo potere e poco conta che questo sia anacronistico e ridicolo. Si tratta di una scelta calcolata che approfitta del vento dell'Indignazione contro la politica e di quello della paura della crisi economica. Ce n'è di cui riflettere ampliamente nei mesi a venire in vista delle celebrazioni dell"autonomia.