Il caso vuole che nel Salento, dove sono stato qualche giorno, ci sia stata una polemica politica che nel nel mio animo, per pura combinazione, si è mischiata con un libro che mi sono portato dietro. I pensieri sono come i trapezisti e possono volare da una parte all'altra. Cominciano dalla polemica: si riferisce alla "Notte della Taranta", la famosa danza rituale dell'Italia del Sud, che aveva la funzione di ballo curativo contro il mitico morso della tarantola, ma che oggi serve per far festa in questa parte di Puglia. A chiudere la kermesse di ballo collettivo è stata l'orchestra del bosniaco Goran Bregovic, invitato per proporre una fusion fra le sue musiche balcaniche e i ritmi autoctoni. Alla fine dell'esibizione, il gruppo intona - con il ritmo infernale dovuto - "Bella ciao", celebre canto della Resistenza. Apriti cielo: una parte della destra locale parla di scandalo per una canzone comunista e di parte, degna solo - dice un assessore - delle vecchie "Feste dell'Unità". A sinistra si grida alla provocazione: si ricorda che la Taranta è stata sdoganata proprio dalle vecchie "Feste dell'Unità" e che la nota canzone partigiana ha un carattere popolare radicato nella coscienza nazionale. A me "girano" - vi assicuro - perché trovo purtroppo terribilmente normale che dove la Resistenza non c'è stata e l'antifascismo pochissimo praticato possano spuntare polemiche di questo tipo. Ormai rischiano di esibirsi pure da noi con certi maîtres à penser pronti a sdoganare tutto in improbabili giravolte ideologiche che mirano pure a riscrivere il passato. Le frontiere del revisionismo sono infinite. Ed eccoci al libro che mi sono portato dietro: "I processi in Corte straordinaria d'Assise di Aosta 1945-1947" di Tullio Omezzoli, edizioni "Le Château". Una pubblicazione storica dal carattere assieme scientifico e divulgativo di elevato livello che mostra il volto di una giustizia emergenziale che si occupò di chi si era macchiato di reati nel regime nazifascista. Quel che si evince è un'attività che mostra il chiaro e lo scuro della giustizia e la scelta "perdonista" delle amnistie postbelliche (complice Palmiro Togliatti in persona), che ebbe come conseguenza non solo l'ordinario mantenimento di schiere di funzionari dell'apparato dello Stato ma si mostrò alla fine mitezza verso fatti penalmente e pure moralmente gravi nel nome della riconciliazione nazionale. Un caso, avvenuto ad Aosta, riguarda anche la mia famiglia, a pagina 240, quando il 26 aprile 1945 il tenente fascista Ovidio Dal Bianco fece mettere al muro, da una dozzina di paracadutisti della "Folgore", mio zio Antonio Caveri. Intervenne per salvarlo il fascista Alberto Pellegrini, richiamato - da quel che so - dalle urla disperate di mia zia Marie, che lo fece liberare in extremis. Dal Bianco, condannato a quindici anni, venne infine amnistiato. Giustizia non è fatta. Mio zio, capo comunista alla "Cogne", morirà - il 28 aprile, due giorni dopo la mancata fucilazione, vittima comunque del destino - davanti al bar "Centro" di Aosta per un colpo di una pistola caduta accidentalmente a terra, mentre si accingeva a parlare in piazza durante i festeggiamenti per la Liberazione della città. Il suo secondo nome era Luciano e per questo mi chiamo così. Nel libro si racconta anche - con correttezza - di una brutta storia di cinque partigiani comunisti (condannati alla fine dei processi in maniera non troppo pesante) che uccisero a Pont-Saint-Martin, nel giugno del 1945, la famiglia del veterinario Alessandro Peyretti. Si cercò di buttarla in politica, ma si trattò invece di tre omicidi per furto, come evidenziato nei processi e come mi raccontava - atterrito dalla vicenda, pur avendone viste tante durante la Resistenza - mio zio Ulrico Masini, collega veterinario del Peyretti e comandante partigiano di "Giustizia e Libertà" in Bassa Valle. Capisco che passare da "Bella ciao" in Puglia ai processi in buona parte "a perdere" del dopoguerra possa essere ardito, ma è il filo dei miei pensieri.