Parecchio tempo fa, parlai con il Senatore César Dujany dell'epoca in cui fu uno dei protagonisti del distacco della sinistra democristiana - non dall'Union Valdôtaine, come scrive maldestramente "Wikipedia" - da cui nacquero negli anni Settanta i "DP - Democratici popolari", che durarono una decina d'anni. Gli domandai, dopo aver ascoltato il suo lungo racconto, quale fosse stato l'apporto della comunità di immigrati veneti in Valle al movimento, visto che molti esponenti erano ancora nati in Veneto - una delle zone culla del popolarismo - da famiglie trasferite e radicate da noi. Mi raccontò del loro contributo, specie sulla città di Aosta lungo la linea di quella parte progressista e autonomista che militava nell'area democristiana. Poi mi aggiunse un'osservazione, che mi è tornata in mente in questi giorni, che suonava grossomodo così: «Vi erano però anche dei veneti che mostravano spesso l'antico complesso del "siorsì"». Chiaro cosa intendesse: ispirato alla risposta di un militare ad un ordine impartito da un superiore, ci troviamo di fronte ad una sorta di atteggiamento psicologico di sudditanza. E' la stessa logica rinvenibile nell'espressione inglese "yes man", tradotto - ma non rende la secchezza dell'inglese (e del veneto!) - "persona accondiscendente" e per certe sfumature andrebbe bene anche "servile". Volgarmente farebbe "leccapiedi" o la sua versione con pulizia linguale di altra parte del corpo, mentre "adulatore" (che muove la coda come i cani) o "lacchè" (tipo di servo) sono un poco più letterari. In francese l'espressione equivalente è "béni-oui-oui", la cui etimologia è: "Emprunt à l’arabe magrébin benī, pluriel de ben, "fils de", et du français moderne oui". Insomma: ci siamo capiti. L'ammonimento dujaniano in fondo chiama all'appello contro una situazione ben illustrata da Leo Longanesi: «Non è la libertà che manca. Mancano gli uomini liberi». E ai «siorsì» - ormai diffusi fra valdostani d'adozione e d'origine - andrebbe risposto naturalmente in veneto: «Tasi, mona!».