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22 feb 2012

Tangentopoli, dieci anni fa

di Luciano Caveri

Io c'ero nell'aula di Montecitorio il 3 luglio del 1992, quando intervenne – con il suo ultimo discorso importante nella sua lunga carriera politica – l’allora segretario socialista Bettino Craxi. Con il Senatore Cesare Dujany – eravamo stati rivotati in coppia dopo il primo successo nel 1987 - pochi giorni prima lo avevamo incontrato nel celebre ufficio di via del Corso. Ci intrattenne a lungo, assai seduttivo come gli uomini che hanno carisma, perché per la nascita del Governo Amato I c'era bisogno del voto favorevole di César per avere i numeri. Questo capitava all'epoca del proporzionale. Se mai scriverò delle memorie racconterò cose divertenti di quel colloquio e non è questa la circostanza.

Craxi era un uomo in bilico in quei giorni: "Tangentopoli" si allargava come una macchia d'olio e lui, il "Cinghialone" (come lo aveva chiamato Giampaolo Pansa, che pure nasceva socialista) era un uomo braccato. Il capro espiatorio ideale per la sua antipatia notoria. Ed invece, in quel colloquio di cui dicevo, avevo capito – nel suo modo ruvido di fare – le ragioni per cui aveva affascinato, dominando la politica italiana, pur avendo percentuali basse di voti. Diventare "ago della bilancia" è un’arte. Dicevo del discorso alla Camera a due passi da me, in un silenzio tombale, che accompagna i discorsi del leader. Pure la Lega, che aveva per la prima volta avuto un successo elettorale, non fece gazzarra più di tanto di fronte a questo omone che leggeva un discorso che suonava come una campana a morto per la partitocrazia della Repubblica. «Ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento ai partiti e al sistema politico è irregolare o illegale». Così disse e aggiunse più avanti: «se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale». Qui, ricordo, che la Lega applaudì. E poi Craxi aggiunse: «nessun responsabile politico di organizzazioni importanti"potrebbe alzarsi a giurare di non aver mai fatto riscorso a simili finanziamenti. Presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro». Parole dure, che mi colpirono. Anche se, oggi come allora, resto convinto che solo l'onestà personale ti consente, in politica, di mantenere la tua libertà. Altrimenti, prima o poi , "i nodi vengono al pettine". Ora che si ricorda, talvolta con nostalgia la Prima Repubblica, dicendo che allora almeno si rubava per i partiti, mentre oggi molti rubano per ingrassare i patrimoni personali, sarebbe bene dire che la strada giusta è considerare delittuosi entrambi i percorsi. Senza troppe distinzioni.