Uno dei refrain pasquali
Pare che un'errata definizione in un servizio del telegiornale - un ristorante definito come agriturismo quando non lo era - abbia creato una rabbiatura nei gestori di agriturismi. La reazione è positiva e cercherò di spiegare il perché.
Quel che c'è di divertente nei giornalisti (categoria cui appartengo con il numero "9" come iscrizione all'Ordine della Valle d'Aosta) è la ripetitività. Quando c'è qualcuno che lancia un refrain in tanti lo seguono.
Una delle parole d'ordine del periodo pasquale, inventata da un singolo che poi probabilmente sarà un dispaccio d'agenzia, è stata: vanno molto bene gli agriturismi e da lì in poi attorno al tema c'è stata una "catena di Sant'Antonio" rinvenibile per tutto il periodo vacanzifero genere tormentone.
Dicevamo dell'aspetto positivo. La legislazione regionale in Valle d'Aosta sull'agriturismo è garantista per il consumatore e anche per il coltivatore diretto che sceglie di avere un'attività turistica integrativa del proprio reddito e ben sappiamo come come accoppiamento sarà importante specie quando, purtroppo tra pochi anni, i contributi europei declineranno. Per cui la cinquantina di strutture che ci sono in Valle garantiscono mediamente, quindi con alti e bassi di qualità, un legame fra prodotti aziendali e quanto viene proposto al consumo nel ristorante.
Fuori Valle questo criterio è in generale inesistente a causa di un lassismo ben noto, per cui nessun agriturismo si sarebbe arrabbiato di un ristorante "normale" scambiato per questa formula, da noi invece appositamente normata e dunque distinta nella percezione comune, che lega strettamente agricoltura e turismo.
- luciano's blog
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Commenti
A proposito di giornalisti...
mi permette una domanda che esula un po' dall'argomento del post in oggetto?
Molto sovente i giornalisti, quando parlano o scrivono a proposito di un minore, iniziano l'articolo o il servizio con la formula: "Paolo, il nome è di fantasia, un bambino di cinque anni..." per poi continuare l'articolo o il servizio senza mai più ripetere il nome "Paolo", ma definendolo con "il bambino" o "il piccolo".
A che serve dare per forza un nome di fantasia, senza più utilizzarlo nel corso dell'articolo? Io ho un'estrazione tecnica e scientifica, e questa cosa mi incuriosisce molto perché per me è senza senso.
Saluti.
Mah...
in effetti se adopera un nome di fantasia va usato non solo all'inizio!
Forse...
serve sia allo scrittore che al lettore per identificare un'immagine mentale - perché non c'è fotografia - e dare corpo alla lettura.
Ma soprattutto per dare una particolare enfasi e fare entrare il lettore in un clima di personalissima confidenza. Quasi che fosse fatto tra due persone sottovoce e l'articolo diventa una "lettera" che nessun altro leggerà...