Ogni tanto mi metto a caccia di parole, che ho spesso usato nel mio lavoro politico e che vedo evolversi nel periodo più recente.
Prendiamo la parola sovranità, che nasce nel francese del XVI secolo con origine nel latino volgare “superanus”. Il termine francese è souverain (e anche suzerain).
Quindi, etimologicamente, la parola indica chi o ciò "che sta sopra", ovvero il "capo" o "sovrano", riflettendo l'idea di superiorità e autorità suprema.
Il concetto moderno di sovranità, inteso come summa potestas (potere supremo e indipendente da altri poteri), è emerso in Europa nel contesto della nascita dello Stato moderno.
Il significato politico della sovranità è un concetto fondamentale nella scienza politica, nel diritto costituzionale e nel diritto internazionale.
Senza troppi approfondimenti vale un esempio dalla vigente Costituzione italiana. l'Articolo 1 è chiaro: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Questo significa che il potere è del popolo, ma non è arbitrario, perché deve sempre rispettare le leggi fondamentali e la forma di Stato stabilite dalla Costituzione.
Come federalista, credo nel concetto di una “sovranità diffusa" che è un antidoto contro le tentazioni autoritarie ben visibili di questi tempi, quando il potere si accentra senza contrappesi.
Nel modello classico di sovranità, che la vedeva concentrata e indivisibile in un'unica istanza (lo Stato o il Popolo), i rischi erano evidenti e purtroppo il Novecento ha espresso pessime dittature e anche ora nel mondo c’è da preoccuparsi.
Riprendo il filo. Nel tempo, gli Stati moderni hanno ceduto parte della loro sovranità a organizzazioni sovranazionali. In questo senso, la sovranità non risiede più esclusivamente nello Stato. L’esempio a noi più vicino è l’Unione europea. In questo caso la sovranità si espande verso l’alto su più livelli e in modo interconnesso.
Ma vi è anche una espansione verso il basso. In parte questo avviene attraverso i diritti fondamentali dei cittadini. In questo senso, la sovranità si "diffonde" oltre il solo momento elettorale (il voto) e si concretizza nella partecipazione individuale e collettiva alla vita politica attraverso questi diritti (nella Costituzione italiana si concentrano dall’articolo 1 all’articolo 12).
Verso il basso significa la democrazia locale con differenze fra uno Stato regionale (come l'Italia) o federale, dove la sovranità si diffonde tra lo Stato centrale, le Regioni, le Province e i Comuni, che detengono una quota di autonomia costituzionalmente garantita, distribuendo il potere di comando sul territorio.
Quindi il potere non è più monolitico e centralizzato, ma si disperde tra diversi livelli istituzionali (sopra e sotto lo Stato) e tra una pluralità di soggetti che esercitano una concreta influenza sulla vita pubblica.
Quel che mi colpisce di questi tempi è come la parola "sovranità" sia sempre più adoperata in ambiti strategici, a riflettere la preoccupazione degli Stati e dei sistemi di democrazia locale di mantenere il controllo su fattori vitali, in un mondo dominato dalla globalizzazione e dalla tecnologia.
Emerge così la "sovranità energetica" indica la capacità di un Paese, di una comunità - come potrebbe essere la Valle d’Aosta - o di un'unione (come l'UE) di controllare autonomamente le proprie fonti di approvvigionamento energetico, riducendo la dipendenza da importazioni estere e da fornitori geopoliticamente instabili. In breve, non è solo "produzione interna", ma un equilibrio tra sicurezza nazionale, transizione ecologica e resilienza geopolitica. Per essere concreti: per i valdostani l’importanza del settore idroelettrico e evitare che sia una ricchezza sfruttata con le logiche colonialiste.
Da un po’ si parla di “sovranità alimentare”, cioè del diritto dei popoli, delle comunità e dei Paesi a definire autonomamente le proprie politiche agricole, di produzione, distribuzione e consumo di cibo, privilegiando sistemi sostenibili, locali e rispettosi dell'ambiente, della cultura e dei produttori (soprattutto piccoli e medi agricoltori). Non si tratta ovviamente di logiche autarchiche, ma neppure accettare i rischi che agricolture, come quelle alpine, perdano il loro ruolo strategico, perché non competitive.
Esiste anche la "sovranità digitale", che significa - in una logica europea come non mai - la capacità di uno Stato di regolare, controllare e definire la propria infrastruttura digitale, i dati e i servizi tecnologici utilizzati entro i propri confini. Ed esiste naturalmente anche un necessario spazio per le specificità regionali e per aree omogenee, come le zone di montagna. In sostanza, la sovranità digitale è la battaglia per non lasciare che i poteri digitali (gli algoritmi e i dati) siano gestiti solo da attori privati globali, ma che siano soggetti a regole democratiche e al rispetto dei diversi livelli di governo.
.Esiste poi, sempre nel modello sopra e sotto la, "sovranità sanitaria". È l'autonomia di un Paese nell'assicurare alla propria popolazione un sistema sanitario resiliente e la capacità di rispondere a crisi sanitarie senza dipendere eccessivamente dall'estero o, nel caso regionale, di essere dotati di quanto necessario e indispensabile, pur naturalmente restando in rete.
Questi nuovi usi della parola "sovranità" evidenziano che la battaglia per l'autonomia si è spostata dal controllo del territorio e della popolazione a quello delle risorse strategiche e delle tecnologie essenziali per la vita moderna.
Un modello federalista si dimostra più forte di un modello regionale ed enormemente più capace a reagire del vecchio centralismo all’origine del concetto di sovranità.
Aggiungerei, come sola riflessione e senza logiche retrive o isolazioniste che non mi appartengono, che bisognerebbe - in una logica imponente e aggressiva del mondo digitale globalizzato - mantenere anche una sana “sovranità culturale” per evitare un mondo che cancelli la forza delle diversità culturali della