Tanti anni fa, scrissi un articolo, con una vena ironica, che spesso è il rifugio per dire verità scomode, sul fatto che i valdostani fossero una sorta di tribù con il bisogno di un Capo.
Ci fu chi la prese a male e dunque reagii scrivendo più o meno quanto segue, sostenendo che - se non ci sono eccessi dispotici, che pure in Valle d’Aosta ci sono stati - bisogna sempre guardare al lato chiaro e non a quello scuro.
La parola "tribù" (che viene dal latino "tribus") significa "gruppo etnico organizzato e socialmente coeso, con tradizioni proprie". Nel tempo gli antropologi e i sociologi hanno sempre più applicato la definizione a realtà occidentali e non solo a Paesi lontani ed esotici con civiltà legate a tradizioni del passato.
Lessi allora uno strano libro, "Tribù - Ritorno a casa e appartenenza" di Sebastian Junger, che passava dal fascino degli indiani nativi americani al ritorno dalle guerre dei soldati che diventano veterani. Trovai - come capita con i libri che istruiscono - dei passaggi interessanti.
Per capirci: nella logica comunitaria della tribù c’è qualcosa che bisogna riscoprire e che dimostra il lato solare del "tribale" e un uso "buono" del termine che mi ha fatto riflettere e perciò trasferisco il pensiero. Dice Junger con semplicità, citando un poeta statunitense: “Robert Frost notoriamente scrisse che la tua casa è quel posto dove, quando devi andarci, devono farti entrare. La parola "tribù" è molto più difficile da definire ma un inizio potrebbero essere l’insieme di persone con le quali ti senti obbligato a condividere quello che resta del tuo cibo”.
Aggiunge poi come, di fronte a drammi come la guerra e le catastrofi naturali, rinasca spontaneamente un senso di vicinanza anche in società in cui non si sa più neppure chi sia il proprio vicino di casa: “Le catastrofi sembrano - talvolta nell'arco di tempo di pochi minuti - rimettere indietro l'orologio dell'evoluzione sociale di diecimila anni. L'interesse del singolo viene inglobato nell'interesse del gruppo perché non si dà alcuna sopravvivenza al di fuori della sopravvivenza del gruppo e ciò crea un legame sociale di cui molte persone tristemente sono mancanti”.
Ma la considerazione prende un indirizzo, in un altro passaggio, che trovo interessante per piccole comunità come quella valdostana, dove elementi di vita in comune si mantengono: “I risultati sono in linea con qualcosa che prende il nome di "teoria dell'autodeterminazione", la quale sostiene che gli esseri umani necessitano di tre cose fondamentali per essere soddisfatti: hanno bisogno di sentirsi capaci in ciò che fanno; hanno bisogno di sentirsi autentici nelle proprie vite; e hanno bisogno di sentirsi in connessione con gli altri”.
Junger ammonisce con un pensiero che condivido: “il tradimento definitivo della tribù non è agire in modo competitivo - ciò dovrebbe essere incoraggiato - ma fondare il tuo potere sulla scomunica degli altri dal gruppo. Questo è esattamente ciò che i politici cercano di fare, quando in riferimento ai loro rivali vomitano velenosa retorica. Questo è esattamente ciò che fanno personalità del mondo dei media quando vanno oltre la critica dei loro concittadini e apertamente li insultano. Insultare delle persone con le quali condividi un avamposto in prima linea è una cosa incredibilmente stupida da fare e personalità pubbliche che immaginano che la loro nazione non sia, potenzialmente, un immenso avamposto in prima linea si stanno illudendo”.
Come dire, riassumendo: senza coesione umana e sociale di fronte ai momenti difficili, solo per rafforzare al contrario e egoisticamente le proprie posizioni, si prende una strada pericolosa che mina la civile e comune convivenza.
Pensavo a tutto questo, dopo aver letto giorni fs - sulla prima pagine de La Stampa - la rubrica quotidiana di Mattia Feltri, ottima da leggere al risveglio.
@@ Scrive e sono andato a leggere anche l’articolo, cui si riferisce: “Sul New York Times, Thomas Friedman scrive un formidabile articolo sulla pestilenza di codardia morale che sta contagiando le leadership politiche, e fa tre esempi: il Partito repubblicano americano ha un problema neonazista, la sinistra progressista ha un problema pro Hamas e Israele ha un problema coi coloni. Ognuno si rifiuta di affrontare il suo problema. Se fra i miei ci sono razzisti violenti, se fra i miei ci sono sostenitori della sharia, se fra i miei ci sono assassini suprematisti, devo trovare il modo di giustificarli per tenere assieme la tribù. Friedman non scrive la parola tribù, ma il concetto sembra quello. La nostra destra e la nostra sinistra hanno problemi simili e soluzioni identiche, approdo di una politica tribale per cui negli anni il Parlamento è diventato un'assemblea notarile al servizio del capo, per cui si è garantisti con gli indagati amici e giustizialisti con gli indagati nemici, per cui anche la stampa si è infilata in una delle due trincee, e procede con la prosopopea o il vittimismo di chi si batte dal lato giusto della guerra. La codardia morale è la medesima, perché è una morale incapace di giudizio: la morale si realizza con la vittoria della tribù, fine. Succede quando la democrazia si infiacchisce e cede il passo al capo. Lo diceva bene Ágnes Heller: la democrazia è innaturale e dunque è sempre in pericolo; la tribù radunata attorno al capo è naturale, e lì ci si rifugia nei momenti di confusione e di paura. Nella tribù non bisogna più nemmeno pensare né tantomeno porsi problemi morali: per essere nel giusto basta avere un capo e ubbidirgli”.
Questa è una cattiva tribù, che scivola verso l’autocrazia e questo stride con la logica giusta e democratica della leadership. In questo mondo la deriva del tribalismo “cattivo” preoccupa.