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23 nov 2025

Manovra: Parlamento e Politica

di Luciano Caveri

Quando lasciai la Camera dei deputati nel 2001, ero ormai un veterano che aveva guadato il passaggio impressionante fra Prima e Seconda Repubblica e assistito all’agonia della partitocrazia del dopoguerra avviata verso nuovi orizzonti e rinnovate forze politiche.

Avevo nel tempo imparato il diritto parlamentare e le regole di funzionamento della Assemblea, acquisendo competenze e affrontando con dimestichezza tutto quel che poteva capitare grazie ai diversi ruoli di responsabilità ottenuti. Credo che il lavoro svolto abbiano giovato all’immagine della Valle d’Aosta sul palcoscenico nazionale e risolto problemi complessi, specie con lo strumento più forte nelle mani di un parlamentare: le norme di legge.

L’altro giorno sono andato a vedere le schede della mia attività parlamentare, guardando con viva curiosità i numerosi interventi in aula opportunamente registrati, che riguardarono i temi più vari. Fa sempre impressione verificare come si è cambiati rispetto ad allora e avere, comunque, il senso di quanto che c’era dietro quella attività.

In questo periodo dell’anno, ormai come fosse una seduta spiritica che evoca il me di allora, non posso non pensare alle maratone per seguire la Finanziaria dello Stato.

Un lavoraccio a fine anno, fatto di esame del testo, presentazione di emendamenti, vigilanza sulle maratone notturne, quando spunta di tutto. Tutto preceduto dalla presentazione dei testi al Governo regionale e alle Commissioni consiliari del momento per cercare di risolvere questioni interessanti la Valle d’Aosta e proporre qualche soluzione migliorativa nel clima di assalto alla diligenza, che ho vissuto sempre in prima fila. Lo dico senza nostalgie ma con fierezza.

Si cementano in queste sedute fiume rapporti di collaborazione e pure di amicizia, necessari per chi viene eletto nella circoscrizione valdostana per poter contare di più.

Confesso di aver avuto questi pensieri, nutriti di ricordi positivi e forse celebrativi di anni di impegno, che creano l’esperienza che consente di vedere le cose con coscienza e saggezza, dopo aver letto su 7 (inserto del Corriere), nella un’evocazione che trovo da equilibrista delle parole di Giuseppe Antonelli, professore di Storia della lingua italiana.

Si occupa del termine “manovra”, ormai associata nel lessico politico alla “manovra finanziaria”, che traccia i conti dello Stato (sarebbe meglio della Repubblica) con questi passaggi arditi, che mostrano cosa sia la cultura umanistica.

Leggiamo: “Definizione ormai così familiare da essere passibile - come notava Silverio Novelli in un articolo del portale Treccani Lingua italiana - di alterati, prefissati e derivati vari: manovrina (dal 1991), supermanovra (1992); maximanovra e mini-manovra (1998); manovra bis (2000), manovrona (2004), manovrone (2006), poi anche manovrissima (2012). «Vociaccia francese, che si usa a tutto pasto dagl'Italiani per Esercizi, Evoluzioni militari», tuonava a proposito di manovra il Vocabolario della lingua parlata di Rigutini e Fanfani (1875). Con i suoi tanti e diversi significati acquisiti in italiano nel corso del tempo, la parola deriva in effetti dal francese manoeuvre creata a partire dal latino medievale manuopera cioè lavoro di mano: da manuale, in qualche modo, ma anche da manovale. Non ci sarà troppo da stupirsi, allora, se - da qualche anno a questa parte - capita ogni tanto che ci sia chi denuncia l'intervento di una manina venuta a manomettere alcune parti manipolandone il testo (tutte parole derivate direttamente o indirettamente da mano). Magari un manipolo di articoli, là dove manipolo era all'inizio una manciata di qualcosa, di soldati anche. Proprio come il quasi sinonimo mannello, che deve la sua forma a un precedente manna nel senso di fastello di spighe. Nulla a che vedere - a dispetto della forma perfettamente coincidente - con la manna biblica che cade dal cielo (il cui nome proviene dall'ebraico man); casomai qualcosa in comune con la mannaia (ahia!), ovvero scure manuariam quindi da usare a mano.

A mano a mano, quando in una conversazio ne si maneggia il tema delle tasse, si arriva sempre al momento in cui c'è chi dice «il difetto sta nel manico» o di chi ciurla (onomatopeicamente vacilla, tentenna) nel manico, cioè si sottrae ai propri impegni. C'è anche chi a volte evoca persino le manette («in fretta in fretta gli legano i polsi con certi ordigni, per quell'ipocrita figura d'eufemismo, chiamati manichini», scriveva Manzoni nei Promessi sposi descrivendo i birri che arrestano Renzo Tramaglino”.

Mi piace molto questo zigzagare fra parole, come Tarzan che salta da una liana all’altra nelle giungla!