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29 ott 2025

La bomba atomica e la Svizzera

di Luciano Caveri

Chissà se la mia generazione, nata e cresciuta nel tempo della ”guerra fredda” sotto la minaccia della guerra nucleare, si potrà trovare davvero nelle tristi condizioni di viverne una.

Ogni tanto ci penso e rifletto sul fatto, che mi fa sentire inadeguato, che - se esplodesse da qualche parte in Europa un ordigno nucleare - non saprei cosa fare. Per altro - ero un giovane giornalista tv - quando avvenne Il disastro di Černobyl' (Chernobyl).

Era il 26 aprile 1986, all'1:23 ora locale, quando scoppiò il reattore numero 4 della centrale nucleare V.I. Lenin, nell'allora Repubblica Socialista Sovietica Ucraina.

Ebbene, in modo confuso registrai la confusione che si creò nella piccola Valle d’Aosta. Nessuno sapeva cosa fare e dove andare di fronte alla nuvola radioattiva che arrivò sin da noi.

Ricordo che in tutta la Regione esisteva un solo contatore Geiger, il dispositivo più comune e conosciuto per il rilevamento delle radiazioni ionizzanti, in dotazione ai Vigili del fuoco.

Già allora si creò un’ansia generale e in cuor mio pensavo a quanto fossero fortunati gli svizzeri ad avere quei rifugi antiatomici, di cui avevo avuto spiegazioni da mio papà nelle gite in Svizzera da bambino.

Per questo sono rimasto entusiasta nel leggere un lungo e circostanziato articolo sul sistema elvetico di Jessi Jezewska Stevens, che è una scrittrice e giornalista statunitense che vive a Ginevra, in Svizzera. Scrive di politica e cultura europee per Foreign Policy, The Dial, The Nation.

Racconta di come gli svizzeri, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, si siano di nuovo interessati a cosa fare del loro sistema di bunker antiatomici e come comportarsi in caso scoppiasse una guerra nucleare con i rischi conseguenti.

Scrive la giornalista sul giornale americano The Dial: ”La Svizzera, paese che da sempre suscita il fascino, lo stupore e talvolta l’invidia dei suoi vicini europei, ha una popolazione di circa nove milioni di persone e una quantità di bunker pro capite superiore a quella di tutti gli altri Stati del mondo. I bunker sono talmente numerosi da garantire un rifugio a ogni singolo abitante della confederazione in caso di crisi (la Svezia e la Finlandia si piazzano al secondo posto, con la capacità di ospitare nei bunker i residenti di tutte le grandi città)”.

Mentre in Italia tutto tace da sempre, altri si muovono e l’articolo ne offre un quadro: ”Davanti all’inesorabile aggressione da parte dell’esercito russo e alla luce della contemporanea scomparsa del sostegno diplomatico e militare degli Stati Uniti, i paesi europei stanno ricominciando a investire pesantemente nella difesa. Nel frattempo l’attività di protezione civile – ovvero le misure non militari per la difesa della popolazione, tra cui la costruzione di rifugi antiaerei e antiatomici – è tornata a essere una priorità. Nel gennaio del 2025 la Norvegia ha introdotto l’obbligo di costruire rifugi antiaerei in tutti i nuovi edifici residenziali, una norma che ricorda l’epoca della guerra fredda e che in Svizzera è in vigore dal 1963. In Germania, paese dove di recente è stata approvata una legge per stanziare miliardi di euro per le spese militari, il problema di dove e come costruire nuovi bunker è tornato al centro del dibattito pubblico. Ispirata dall’attività di Germania e Norvegia, a marzo di quest’anno l’Unione europea ha diffuso un comunicato ufficiale in cui invitava i cittadini del vecchio continente a tenere a disposizione in qualsiasi momento provviste sufficienti per 72 ore nel caso di un attacco. Il rischio di una guerra e di un disastro provocato dall’essere umano non è mai sembrato così reale dalla fine della guerra fredda”.

Il quadro storico elvetico è utile: ”La politica svizzera di garantire un rifugio a ogni cittadino nel caso di una crisi è stata introdotta più di sessant’anni fa, ma ancora oggi un edificio residenziale di nuova costruzione deve comprendere un bunker. In alternativa gli imprenditori edili devono destinare fondi sufficienti a mantenerne uno nelle vicinanze gestito dallo stato. Per questo in Svizzera esistono 370mila rifugi sotterranei capaci di proteggere i civili per un arco di tempo compreso tra poche ore e due settimane. I sistemi di ventilazione hanno un’autonomia di circa quarant’anni e possono neutralizzare gli effetti delle radiazioni, del materiale radioattivo e delle armi chimiche o biologiche.La spesa pro capite per la manutenzione e la costruzione di queste strutture, sostenuta in gran parte dagli imprenditori edili, è paragonabile a quella annuale per l’assistenza sanitaria. Storicamente il costo per ogni singolo posto in un bunker è di 1.400 franchi svizzeri (circa 1.500 euro) in quelli con capienza compresa tra cinquanta e duecento persone, o tremila franchi per quelli più piccoli. In tempo di pace la maggior parte degli svizzeri li usa come cantina per i vini, magazzino o sauna. Negli anni novanta, quando le tensioni della guerra fredda sono progressivamente svanite, sono stati usati (suscitando polemiche) per ospitare i profughi, i richiedenti asilo e i senzatetto”.

Ricordo che la corale del mio paese fu ospite in un paese svizzero e dormì, con un certo divertimento, in una di queste gallerie scavate nelle montagne.

Acutamente la Jezewska Stevens osserva: ”Certo, non è un caso se la Svizzera e la Norvegia hanno storicamente programmi di protezioni civile tra i più avanzati al mondo. Il pil pro capite della Svizzera è il sesto del pianeta, mentre quello della Norvegia è il nono. In realtà l’efficacia dei bunker dipende dalla natura e dalla portata di un’eventuale crisi. Gli effetti peggiori di una dispersione di materiale radioattivo di solito svaniscono nel giro di pochi giorni o settimane, presumibilmente entro la durata prevista di permanenza nel rifugio, quando ridurre l’esposizione alle radiazioni significa neutralizzare il rischio di morte. Al contrario, una fusione accidentale all’interno di un reattore nucleare in una centrale delle dimensioni di Černobyl può rendere l’aria circostante inabitabile per secoli ”.

E poi vi è un tema dirimente: ”La vita sottoterra suscita spesso grande scetticismo. È davvero possibile che un grande numero di estranei alle prese con enormi difficoltà psicologiche possa collaborare per giorni in uno spazio angusto? (Una raccomandazione molto diffusa negli anni settanta, quella di incanalare gli impulsi ostili e aggressivi con partite a carte o con giochi da tavolo, oggi sembra poco verosimile). Cosa farebbero le persone che nel momento della crisi dovessero trovarsi lontane dai rifugi assegnati? I pazienti ricoverati e gli anziani potrebbero essere facilmente trasferiti nei bunker costruiti appositamente per loro?I sistemi di ventilazione possono sicuramente proteggere i civili dalle radiazioni, dal materiale radioattivo e dalle armi chimiche (pericoli invisibili che non potrebbero essere neutralizzati nascondendosi nella metropolitana di Londra, per esempio), ma nessun bunker può reggere l’impatto diretto di una bomba atomica.Eppure l’impegno della Svizzera a garantire la protezione a tutti i civili resta apprezzabile. Le ragioni dietro questa scelta vanno oltre la disponibilità finanziaria. Nel paese i bunker sono semplicemente “parte integrante dell’identità nazionale”.

Lo spiega bene la giornalista e fa capire come i confini fissino modi di essere e strategie, confrontando la nostra Valle senza bunker ai Cantoni che ne sono dotati: ”Questo dna è un’eredità diretta della seconda guerra mondiale, quando i bunker facevano parte della strategia militare svizzera. All’inizio degli anni quaranta, in un momento in cui la Svizzera neutrale era completamente circondata dalle potenze dell’asse, l’esercito aveva ammassato provviste e munizioni negli swiss réduit, una serie di fortificazioni militari situate nelle Alpi per prepararsi a un’invasione nazista. Tuttavia il numero enorme di vittime causate dai raid aerei in altre zone d’Europa dimostrava la necessità di allestire un programma simile per proteggere la popolazione civile. Durante la guerra fredda la corsa agli armamenti nucleari rese i programmi di protezione civile ancora più urgenti. Secondo la storica Silvia Berger il risultato è stata una nuova mentalità di “difesa nazionale totale”, compresa la difesa ideologica dei “valori fondativi della nazione” come il federalismo, l’indipendenza, la democrazia partecipativa e la neutralità politica, ideali che contrastavano nettamente con l’autoritarismo sovietico”.

Sull’utilità, oggi riapparsa, il dibattito negli anni è stato ricorrente nella Confederazione elvetica, ma oggi, chiude l’articolo: ”Al momento le comunicazioni ufficiali si concentrano sulla promozione della “cultura svizzera della prontezza”, ricordando alla popolazione che la spesa per i bunker sarà anche impopolare in tempo di pace, ma è essenziale per fare in modo di essere pronti nel caso di una guerra. (…) Tuttavia nascondere la popolazione di un intero paese sottoterra per qualche giorno è un’impresa simile a colonizzare la Luna: esistono troppi imprevisti capaci di far fallire anche i piani più scrupolosi”.

Vien da pensare che scelte di questo genere sia più legato alla cosiddetta coesione sociale per rendere la comunità partecipe e solidale.

In fondo, un pezzo di federalismo!