Ho visto nascere le autostrade in territorio valdostano. Ero un bambino, quando a pochi passi da casa mia venne costruita la tratta fra Quincinetto e Aosta.
Ricordo confusamente che, nella progressione dei lavori, si usciva a un certo punto alle pendici della Montjovetta, immagino perché si stessero scavano le gallerie nel percorso sino a Saint-Vincent.
Dovendo ricordare i tempi di realizzazione, ricordo il punto di partenza: l’autostrada da Torino si fermò a Quincinetto nel 1961, quando ancora non erano stati aperti i trafori del Gran San Bernardo (1964) e del Monte Bianco (1965), raggiungibili solo con le vecchie strade statali.
I lavori di costruzione dell’Autostrada Quincinetto–Aosta vennero avviati sul finire dell’anno 1964. L’inizio ufficiale dei lavori fu il 22 maggio 1965 con il primo colpo di mina per la realizzazione della galleria di Hône.
I 47 chilometri da Quincinetto ad Aosta si conclusero in cinque anni, un tempo sicuramente breve anche considerate le difficoltà tecniche ed ingegneristiche da superare e le tecnologie allora disponibili.
Dopo diversi anni, il progetto iniziale - all’epoca ero deputato - venne ampliato con la realizzazione prima del Sistema Tangenziale di Aosta (11,6 km) aperto al traffico il 24 dicembre 1994 e, successivamente, con la realizzazione del Raccordo autostradale tra la A5 e la S.S. 27 Gran San Bernardo inaugurato in due tratti successivi: il primo tronco funzionale (5,6 km) aperto al traffico il 19 dicembre 1997, il secondo tronco funzionale (2,3 km) aperto al traffico il 5 novembre 2001. Un itinerario che è da sempre un cantiere infinito.
Con una serie di operazioni societarie nel tempo, il controllo della società è diventato saldamente nelle mani del Gruppo privato Gavio con un ruolo marginale della Regione Valle d’Aosta, che nel tempo ha pure perduto la Presidenza della società. L’altra società nata nel 1983 per gestire il raccordo autostradale tra Aosta e il Traforo del Monte Bianco si chiama RAV (Raccordi Autostradale Valdostano) e da pubblica divenne privata (gruppo Benetton) nel 1997 per tornare pubblica nel 2021, ma di fatto la governance non è cambiata e la Regione Valle d’Aosta è socio di minoranza.
Questa la cronologia: 1987: Firma della convenzione tra ANAS e RAV; 1994: Apertura del primo tronco da Sarre a Morgex; 2001: Apertura della carreggiata sud Courmayeur - Morgex: 2002: Apertura della carreggiata nord Morgex - Courmayeur; 2007: Apertura delle carreggiate della tratta finale Courmayeur - Entrèves, inclusa la galleria Dolonne; 2008: Messa in esercizio definitivo della galleria Dolonne. Il tratto autostradale gestito dalla RAV è lungo circa 32 km e rappresenta il collegamento finale della rete autostradale italiana con il Traforo del Monte Bianco.
Entrambe le strutture sono di fatto gestite senza un reale ruolo delle comunità locali e in particolare della Regione, a differenza ad esempio dell’AutoBrennero, unica vera eccezione di un sistema autostradale italiano centralista, se non colonialista.
Leggevo su HuffPost cosa scrive sul sistema autostradale un esperto di lungo corso nei trasporti come Pietro Spirito. Ecco qualche passaggio: “Le tariffe autostradali nel Nord Italia, per converso, sono tra le più alte d’Europa. Il sistema delle concessioni, affidato per decenni a operatori privati con meccanismi scarsamente trasparenti, ha garantito rendite straordinarie a pochi soggetti”.
Nessuno come noi valdostani ha subito questi meccanismi con pedaggi autostradali stellari senza reale possibilità di un ruolo della Regione autonoma.
Più avanti nell’articolo: “Il futuro della mobilità non può più basarsi su infrastrutture costose, rigide e a bassa redditività sociale. Serve una revisione del modello autostradale del Nord, attraverso una verifica dell’utilità reale delle nuove opere; una rinegoziazione delle concessioni esistenti, con maggiore trasparenza; investimenti su intermodalità, logistica ferroviaria e trasporto pubblico locale; valutazioni di impatto ambientale ex post, su opere già realizzate.
Dietro il mito delle autostrade settentrionali si nasconde una realtà fatta di sprechi, indebitamenti pubblici mascherati, ritorni scarsi per la collettività. In un’Italia che deve affrontare la sfida della sostenibilità e dell’equità territoriale, continuare a finanziare e sostenere questo modello rischia di essere non solo un errore, ma una zavorra per il futuro”.
Sin qui concordo. Non concordo nella parte conclusiva, laddove l’autore critica un eventuale maggior ruolo delle Regioni nel settore, citando l’autonomia differenziata Questa la tesi: ”Leggere quello che è accaduto nei decenni recenti, anche nelle autostrade settentrionali, dovrebbe indurre ad una estrema cautela. Nord e regioni non sono sinonimo di buon governo”.
Penso, invece, che il modello attuale non possa non vedere un ruolo centrale delle Regioni nelle gestioni, altrimenti affidate a chi non conosce i territori e agisce spesso senza logiche che non siano il profitto spinto all’eccesso non solo da parte delle società stesse, ma anche delle loro partecipate che si occupano di manutenzioni e lavori, spesso poco comprensibili.
Il centralismo “trasportistico” genera meccanismi e scelte non condivisibili e la stessa società ANAS opera spesso scelte non condivisi con chi i territori li amministra e li abita. Ci sono in più ritardi mostruosi, come sta avvenendo con la tangenziale in costruzione da anni nella vallata del Gran San Bernardo verso l’omonimo traforo in direzione Svizzera.
Con il Ministero dei Trasporti (che cambia dizione a seconda dei Governi) che da sempre è inefficace in queste materie e talvolta si dimostra un ambiguo convitato di pietra, come posso testimoniare per esperienze dirette.
Come diceva Giovenale nelle sue Satire: ”Chi controlla i controllori?”.