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11 lug 2025

Santa pazienza!

di Luciano Caveri

Ci sono parole che rischiano di finire nel dimenticatoio. Spesso lo sono perché non corrispondono più all’evoluzione sociale, ai gusti linguistici, ai comportamenti collettivi.

Se dico “pazienza” verrebbe voglia di giocare con i sinonimi e i contrari.

Lo faccio!

Ecco i sinonimi (su cui so bene che si può discutere): sopportazione, rassegnazione, tolleranza, calma, indulgenza, longanimità, mansuetudine, pacatezza, adattamento, flemma.

Ecco i contrari: impazienza, intolleranza, insofferenza, smania, nervoso (fam.), litigiosità, stizza rigore, severità. Sono io che penso, barbottando, che sono più gli aspetti contrari?

L'etimologia della parola "pazienza" rimanda al latino "patientia", derivato dal verbo "pati" che significa "sopportare" o "soffrire". Questo verbo latino, a sua volta, ha radici nel greco "paskhein" che indica il concetto di "provare", "soffrire", o "subire". Quindi, la pazienza, in origine, era legata alla capacità di sopportare, di tollerare le difficoltà o le avversità, mantenendo un atteggiamento di calma e accettazione. 

“Santa pazienza!”: quante volte abbiamo sentito nel nostro passato questa espressione? Mia nonna lo diceva!

Un’esclamazione molto comune in italiano, usata soprattutto in contesti colloquiali per esprimere frustrazione, esasperazione, o incredulità di fronte a una situazione difficile, fastidiosa o snervante. È un modo per invocare (spiritosamente o ironicamente) la virtù della pazienza, spesso come se fosse l’unico rimedio possibile per sopportare qualcosa o qualcuno.

Quel che è certo è quanto l’uso consolatorio della parola «pazienza!» sua ben documentato anche in ambito letterario, dove spesso assume un tono di rassegnazione malinconica, accettazione del destino, o invito alla calma davanti a un dolore o una delusione.

Ecco alcuni esempi letterari e osservazioni sul loro uso: Più volte Alessandro Manzoni ne “I Promessi Sposi” adopera la parola “pazienza!” è usata per accettare con rassegnazione una sorte avversa. Così Padre Cristoforo, rivolgendosi in particolare a Renzo o Lucia: “Pazienza, figliolo: Dio vede e provvede”. La logica dovrebbe essere quella della consolazione cristiana: la sofferenza ha senso se vissuta con fede. Non è passività, ma accettazione fiduciosa.

Si può citare anche Giovanni Verga in “Rosso Malpelo”. La parola evocata ”pazienza!”viene usata in forma asciutta e rassegnata, tipica del linguaggio popolare, commentando la morte del padre in una frana in una cava: “Pazienza! Si sa com’è la cava.”

E ancora Pirandello nel “Il fu Mattia Pascal” con un protagonista, commentando le sue disavventure esistenziali: “Pazienza! Ho voluto essere un altro? Ora non sono nessuno.” Si capisce il tono ironico e disilluso e un’auto-consolazione amara.

Come non citare l’Antico Testamento: Qoelet 7,8 “Meglio la fine di una cosa che il suo principio; meglio la pazienza che la superbia”.

Nel Nuovo Testamento: Galati 5,2 “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà…”.

Con Norberto Bobbio la saggezza come caposaldo per un laico: “Bisogna avere molta pazienza, non lasciarsi mai illudere dalle apparenze, fare, come si dice, un passo per volta, e di fronte ai bivi, quando non si è in grado di calcolare la ragione della scelta, ma si è costretti a rischiare, essere sempre pronti a tornare indietro”.