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11 giu 2025

Il fumo nel cielo

di Luciano Caveri

I cieli valdostani sono stati recentemente interessati e lo sono ancora da un fenomeno di fumo proveniente dagli incendi boschivi in corso nelle foreste del Canada. L'ARPA VdA ha confermato che le masse d'aria cariche di polveri sottili provenienti dagli incendi canadesi, dunque da circa 7OOO km, hanno raggiunto la Valle d'Aosta, causando una foschia diffusa e innalzando i livelli di particolato.

Me ne sono accorto al risveglio due giorni fa, incuriosito da previsioni che annunciavano tempo bello e da quella caligine che invece avvolgeva l’atmosfera.

Questa interazione a grandi distanze mi ha fatto venire in mente due episodi.

Il primo personale riguarda quando restai bloccato a Bruxelles nel 2010 – ero membro del Comitato delle Regioni – a causa del vulcano islandese "Eyjafjallajökull", le cui ceneri avevano bloccato gli aerei in larga parte dell’Europa.

Studiata invece sui libri, compresa la cronaca locale, è l’estate del 1816, ricordata come "l'anno senza estate", fu caratterizzata da un clima eccezionalmente freddo e umido in diverse parti del mondo, inclusa la Valle d'Aosta, dove si ebbe un grosso problema per i raccolti. Questa anomalia climatica fu causata dall'eruzione del vulcano Tambora in Indonesia nel 1815, distante bel 10mila km dalla Valle!

Come non pensare poi alla neve rossa, causata dalle sabbie del Sahara, che ogni tanto cade sulle Alpi. Tra l’altro nel leggendario valdostano era una sorta di maledizione divina, che precedeva la scomparsa di villaggi di miscredenti. Fa impressione pensare a queste interazioni a lunga distanza.

Ricordo ancora – come esperienza personale - l'incidente nella centrale nucleare di Chernobyl nel 1986, che causò la dispersione di materiali radioattivi nell'atmosfera, che raggiunsero anche la Valle d'Aosta. La nostra Regione subì un aumento della radioattività ambientale, con effetti maggiori nel sud-est, vicino al confine con il Piemonte. In particolare, le aree vicino alla Dora Baltea e al Canavese registrarono livelli di contaminazione superiori. Ricordo – ero un giovane giornalista Rai – i servizi tv con un contatore geiger dei vigili del fuoco valdostano, che serviva a mostrare l’evidente anomalia.

Conferma di una vecchia espressione, che ancora esiste nel lessico.

Fu un meteorologo del "Mit" di Boston, Edward Lorenz, nel 1972, ad un convegno, a dire: «Può il battito d'ali di una farfalla in Brasile generare un uragano in Texas?». La risposta, positiva, derivava dalle sue simulazioni al calcolatore dell'evoluzione temporale di un sistema atmosferico.

A leggere la storia dell’espressione, che appare poetica ma ha i piedi ben piantati per terra, si risale più indietro e già nel 1950 il matematico Alan Turing, in "Macchine calcolatrici ed intelligenza", aveva avanzato un ragionamento simile: «Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l'uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza».

Pare che questa storia della farfalla sia poi diventata popolare attraverso un racconto fantascientifico del 1952 di Ray Bradbury, "Rumore di tuono", nel quale gli uomini erano in grado di viaggiare nel tempo attraverso delle particolari macchine. Schiacciando inavvertitamente una farfalla, uno dei personaggi causerà disastri che interesseranno non solo il suo presente ma anche quello di tutto il genere umano. Oggi spesso nel battito delle ali della farfalla si usa, al posto dell'originario Texas, la Cina, forse per la componente maggiormente misteriosa e impenetrabile per noi occidentali è una concorrenzialità cinese che inquieta.

Eppure è una verità, che in queste ore è ben rappresentata dalle minuscole particelle che volteggiano nei cieli alpini.