L’Italia da tempo ha assunto - e per onestà non solo con il centrodestra - atteggiamenti ambigui verso l’Unione europea, inserendosi troppo spesso in una sorta di zona grigia. Con il governo Meloni, pur con qualche atteggiamento trasformista a spizzichi e bocconi, l’antieuropeismo appare in superficie.
Scrive Allan Kavall su Le Monde un articolo su questo punto, da cui traggo qualche passaggio.
Parte - e così riassumo - dal valore simbolico della isoletta di Ventotene, dove finirono in soggiorno obbligato tanti antifascisti, e della celebre dichiarazione di stampo federalista.
Così scrive: “Nel 1941 due di loro, il liberale Ernesto Rossi e l’ex comunista Altiero Spinelli, scrissero clandestinamente il manifesto di Ventotene, considerato il fondamento del federalismo europeo. Un testo antitotalitario, antirazzista e attento al destino delle minoranze, che sosteneva una rivoluzione del continente contro i nazionalismi e le oligarchie economiche, per costruire un’Europa unita, democratica e con un proprio esercito".
Aggiunge il giornalista: “Ancora oggi quel manifesto è un riferimento imprescindibile negli ambienti europeisti italiani, anche se non piace alla presidente del consiglio Giorgia Meloni: “Non so se è la vostra visione dell’Europa, ma di certo non è la mia”, ha detto il 19 marzo alla camera dei deputati ha detto il 19 marzo alla camera dei deputati rivolgendosi ai banchi dell’opposizione durante comunicazioni del governo in vista del Consiglio europeo, suggerendo che l’idea di un’Europa federale è intrinsecamente liberticida”.
Il commento successivo è chiaro: “Meloni, nazionalista e conservatrice, che dialoga con Bruxelles pur coltivando rapporti privilegiati con Donald Trump, ha voltato le spalle a una lunga storia. Alla guida di un partito che affonda le sue radici nella storia di quel regime che mandò in esilio gli autori del manifesto oggi prende le distanze da un europeismo inscindibile dall’antifascismo del dopoguerra, il cui contributo all’unificazione del continente era stato fondamentale”.
Quel che mi interessa dell’articolo è la cronistoria degli anni che ho vissuto in politica in prima persona: ”Nel 1992 la vicenda dell’inchiesta giudiziaria denominata Mani pulite ha visto la scomparsa dei partiti europeisti, pochi anni dopo che la caduta del muro di Berlino aveva messo in crisi il più grande partito comunista dell’Europa occidentale. “Con la fine di quella classe politica in Italia ne stava emergendo un’altra fatta di alti funzionari, europeisti convinti, tecnocrati o provenienti dal mondo accademico, che avrà poi un nuovo ruolo sia a Roma sia a Bruxelles”, spiega Paolo Gentiloni, 70 anni, ex commissario europeo. Uno dei più illustri è l’economista Romano Prodi, legato alla Democrazia cristiana. Tra il 1996 e il 1998 come capo del governo italiano ha imposto il rispetto dei criteri di Maastricht e preparato l’ingresso dell’Italia nell’euro. “L’ideale europeo era ancora così forte che potevo giustificare decisioni difficili prese dal governo per costruire l’Europa. Un presidente del consiglio che oggi tentasse di fare una cosa simile sarebbe giustiziato seduta stante”, spiega Prodi. Poi da presidente della Commissione europea ha supervisionato l’introduzione della moneta unica, l’allargamento ai paesi dell’Europa centrale e orientale e il progetto di costituzione europea arenato con il referendum francese del 2005 che ne impedì la ratifica”. Vediamo la tappa successiva: “La situazione cambiò nel 2011 quando l’ex commissario europeo Mario Monti prese il posto di Silvio Berlusconi alla guida del governo italiano, in un momento disastroso per i conti pubblici del paese. Per rassicurare i mercati Monti adottò una politica d’austerità. “Da ideale l’Europa divenne un vincolo, ma questo accadde per evitare effetti ben più devastanti. Ogni decisione presa non era solo dovuta all’Europa, visto che era l’Italia ad aver bisogno di quelle misure. La responsabilità delle decisioni era del governo che guidavo, per sua natura temporaneo, e non dell’Unione europea, che sarebbe rimasta”, spiega Monti. Gli “alti funzionari” italiani non hanno mai smesso di avere un ruolo di primo piano nell’Unione. Nel 2012 Mario Draghi, al culmine della crisi dell’euro, ha salvato la moneta unica quando, da presidente della Banca centrale europea, affermò che l’euro sarebbe stato sostenuto “a qualsiasi costo”, placando così gli appetiti degli speculatori. Nel 2021 Draghi è stato nominato presidente del consiglio italiano per affrontare la crisi legata alla pandemia. La foto che lo ritrae con il cancelliere tedesco Olaf Scholz e con il presidente francese Emmanuel Macron, nel treno diretto a Kiev una notte del giugno 2022, passerà alla storia come l’immagine dell’Italia che nel momento più buio, guidata da un grande europeista, ha avuto lo stesso peso politico di Berlino e Parigi. Draghi è stato incaricato nel 2024 dalla Commissione europea di scrivere un rapporto sulla competitività dell’Unione, mentre al suo connazionale Enrico Letta, ex presidente del consiglio, le istituzioni europee hanno chiesto una relazione sul rafforzamento del mercato interno dell’Unione”.
Altro scenario da ricordare secondo Kavall: “Il grande sconvolgimento politico del 1992 ha anche dato vita a una nuova generazione di politici, critici nei confronti del progetto europeo. I tre decenni della “seconda repubblica” sono stati dominati da Silvio Berlusconi, la cui dimensione populista ha virato verso l’euroscetticismo mentre con le sue coalizioni di destra ha aperto la strada a nuove forze ostili a Bruxelles. È il caso della Lega di Matteo Salvini, ora vicepresidente del consiglio, che rappresenta una destra filorussa e antieuropeista. Si deve a Berlusconi l’aver portato al governo eredi del neofascismo, di cui Fratelli d’Italia è l’ultima incarnazione. A sinistra anche il Movimento 5 stelle ha prosperato sugli effetti delle politiche d’austerità. “Il sovranismo italiano non è un desiderio di fare a meno dell’Europa, ma una delusione nei confronti di un’Europa che, secondo questa idea, avrebbe potuto difendere meglio l’Italia”, sintetizza Giovanni Orsina, direttore del dipartimento di scienze politiche dell’Università Luiss Guido Carli di Roma. La parte destinata all’Italia del piano di rilancio adottato dall’Unione europea dopo la pandemia, il Next generation Eu, quasi 200 miliardi di euro, doveva rimediare al problema. In effetti Meloni, una volta diventata presidente del consiglio, ha seguito le politiche dell’Unione, curando in modo particolare i rapporti con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
A partire dagli anni novanta, anche per l’influenza della rivista di geopolitica Limes, si è diffusa una narrazione delle relazioni internazionali basata sugli interessi dei singoli stati. I rapporti tra i partner europei sono spesso visti come un gioco a somma zero, con la geografia dei paesi che li condanna a destini divergenti facendo risultare innaturale un’unione politica tra i vari stati. Meloni, che mira ad approfondire le relazioni bilaterali dell’Italia con gli Stati Uniti di Donald Trump e diffida dell’autonomia strategica europea, non ha certo una visione comunitaria”.
Questa è la realtà.