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23 apr 2025

Stare nel chill

di Luciano Caveri

Ogni generazione ha un linguaggio proprio. Immagino che chiunque stia leggendo è in grado di ricordare il suo.

Per essere preciso, il gergo giovanile è un insieme di parole, espressioni o modi di dire usati principalmente dai ragazzi per comunicare tra loro. Un linguaggio che si sviluppa all’interno di gruppi (come amici, compagni di scuola, o comunità online), che viene usato per sentirsi parte di un gruppo, distinguersi dagli adulti anche facendo qualche scintilla o semplicemente per rendere più divertente e originale il modo di parlare.

Da papà cerco di seguire questi slang giovanile e lo faccio con qualche nervosismo con la fascia adolescenziale, il cui mantra ormai è “essere chill”!

Espressione che deriva dall’inglese, dove “chill” è un termine informale che significa rilassato, tranquillo, sereno. Nella logica di anglofilia che ci assilla diventa in italiano che una persona “è chill” significa che: una persona che è calma e non si agita facilmente. Rivolta al genitore è, in sostanza, stai tranquilla e non rompere le scatole.

Ma è anche - altro anglicismo - essere easy-going, vale a dire prendere la vita con leggerezza. Cioè: se la scelta è fra studiare e vivere sui Social, vale la seconda opzioni. E ancora: non bisogna creare drammi o tensioni.

L’adolescente potrebbe cadere in uno stato di ansia e finire dallo psicologo, come da copione di queste generazioni. Pare che tutto arrivi dagli anni ‘90-2000, quando nella cultura giovanile americana (musica, film, slang online), “chill” ha iniziato a essere usato anche per descrivere persone con un atteggiamento tranquillo.

Da lì, il termine è stato preso anche dallo slang giovanile italiano, soprattutto nei social e nei contesti informali. ”Zen” fatti da parte, arriva il ”chill”! Scherzo, perché lo ”Zen” è ben più profondo. MIndfulness - proposto pure in modo ipocrita dal telefonino - è anch’esso altea cosa.

Ho trovato termini d’uso sul Web del nostro protagonista: – “Mi piace uscire con Marco, è super chill”.

– “Dai, stai chill, non è successo niente di grave”.

Ecco, invece, un dialogo:

• “Boh, chill.”

• “E vabbè dai.”

• “Ci sta.”

L’espressione “essere chill” ha iniziato a circolare in Italia verso la fine degli anni 2010, soprattutto tra i giovani e gli utenti dei social (Instagram, TikTok, YouTube). La sua diffusione è legata alla globalizzazione del linguaggio giovanile attraverso internet e la musica (soprattutto trap, rap e pop americano).

Sul rap mi sono formato un’opinione. L’adolescente di famiglia collega il suo telefono al mio sistema in auto, così mi trovo coatto italico con testi depressivi o aggressivi, che fanno il pari con colleghi americani, sudamericani e anche francesi. Sia chiaro come usare parole inglesi in contesti informali appare più cool con coloriture brevi “internazionali”, che danno tono.

Esistono una miriade di meme, influencer e streamer che parlano in un mix di italiano e inglese, creando una sorta di neolingua da cui sarà difficile riprendersi. Soprattutto perché, al posto di letture di libri, in troppi preferiscono il Professor Tik Tok e la sua cultura generalista e improbabile.

Cari genitori o nonni, tocca seguire il mainstream nei contesti giovanili e farci l’orecchio. E dunque per essere anche noi “giovani”, pur d’accatto, abituiamoci a cose cose dialettali come Stare sciallo” (slang romano), usato per dire - sempre per non “farsi cadere l’ernia”, come diceva mio papà - “stai calmo”, “non ti agitare”.

Appare anche un “Vibes” / “Good vibes”, espressione inglese usata per dire che l’atmosfera o la persona è positiva, rilassata, piacevole. Una sorta di emoji verbale. Attenzione, però, perché la lingua parlata non è la sola protagonista delle nuove tendenze.

Oggi ci si esprime, da parte dei giovanissimi, anche con altre modalità.

Lo ha scritto bene Silvana Loreto su Scuola 7: “La creatività linguistica che ha sempre spinto i giovani a creare neologismi sembra oggi, a parere degli esperti, essersi un po’ affievolita, nel senso che si è spostata su altri piani della comunicazione, quali ad esempio la creazione di video. C’è una “più generale creatività comunicativa indotta dai social, con il prevalere, grazie anche alle innovazioni tecnologiche, della creatività multimediale e particolarmente visuale (quella che si esprime principalmente attraverso i video condivisi nei social)”. Insomma, le generazioni come la mia erano forse lessicalmente più inventive, ma non vorrei passare per un “laudator temporis acti”.

Se dico una cosa del genere al più giovane di casa mi sento dare, in tono offensivo, del “boomer” o vengo indicato come “grinch” ( dal nome del personaggio che odia il Natale) e non solo questione di età, ma della malsana idea genitoriale di essere, ad avviso dell’adolescente saccente, brontolone, poco socievole o anti-divertimento.

Roba da querela!