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19 mar 2025

La pace e la Chiesa

di Luciano Caveri

La Valle d’Aosta si appresta a ricordare Giovanni Paolo II, diventato Santo.

È giusto che sia così per il lungo affetto da lui dimostrato nei confronti della Valle con i suoi numerosi soggiorni estivi. È il Papa che ho visto e pure incontrato più da vicino per i miei ruoli politici.

Ci sono molti aspetti che mi colpirono, ma forse il più illuminante fu la sua malattia. E la consapevolezza di come il Papa polacco affrontò con coraggio il progressivo e infine radicale cambio della sua vita.

Da un dinamico cinquantenne dalla fisicità forte ad una persona alla fine della sua vita gravemente malata. Papa Giovanni Paolo II morì il 2 aprile 2005 all’età di 84 anni. Soffriva da tempo della malattia di Parkinson, diagnosticata ufficialmente nel 2001, ma si sospetta che ne avesse i sintomi già negli anni ‘90. Negli ultimi anni della sua vita, affrontò anche altri problemi di salute, tra cui artrosi, difficoltà respiratorie (a causa di un’infezione alla gola e una tracheotomia nel 2005) e le conseguenze dell’attentato subito nel 1981.

Ebbene, questa storia della malattia e della vecchiaia si vede oggi nella battaglia di Papa Francesco e in fondo anche - altro Papa che ho conosciuto - nella scelta, a causa di malattie invalidanti, di Benedetto XVI con la scelta, rara per un Pontefice, di lasciare il soglio.

Il mestiere di Papa - e il termine non è irriguardoso - è faticoso, specie nella sua versione più recente. Infatti non è solo la vita in Vaticano, ma sono i tour de force di viaggi internazionali con pochi spazi per il riposo. E, si sa, che nella storia della Chiesa i Papi sono quasi sempre stati votati dal Conclave in età avanzata.

Certo ogni epoca ha visto Papi diversissimi e basta guardare temi di attualità, come le guerre che insanguinano il mondo, per capire come proprio sulla guerra gli insegnamenti papali siano cambiati persino diametralmente.

Nella storia della Chiesa sulla questione guerre le posizioni sono state diverse. Si è giunti giunti oggi al rifiuto della violenza, ma si è passati di certo attraverso la giustificazione di conflitti in determinate situazioni.

Agli albori il cristianesimo era essenzialmente pacifista. Molti Padri della Chiesa, come Tertulliano e Origene, condannavano la guerra e il servizio militare. I cristiani erano spesso perseguitati dall’Impero Romano perché rifiutavano di combattere.

Nei secoli successivi si sviluppò il concetto di guerra giusta, elaborato da Sant’Agostino: la guerra, se condotta per difendere la giustizia e l’ordine, poteva essere lecita.

Nel Medioevo la Chiesa giustificò e persino promosse guerre in nome della fede, come le Crociate (dal 1095 in poi), considerate guerre sante per liberare i luoghi sacri cristiani. San Tommaso d’Aquino perfezionò la teoria della guerra giusta, affermando che era lecita solo se dichiarata da un’autorità legittima, per una causa giusta e con la giusta intenzione.

Dopo la Riforma protestante, le guerre di religione (come la Guerra dei Trent’anni, 1618-1648) videro la Chiesa cattolica coinvolta in conflitti tra cattolici e protestanti. Tuttavia, con il tempo, la Chiesa assunse una posizione più neutrale. Dopo le due guerre mondiali, la posizione della Chiesa si spostò decisamente verso la condanna della guerra. Papa Benedetto XV (durante la Prima guerra mondiale) e Papa Pio XII (durante la Seconda guerra mondiale) cercarono di favorire la pace, sebbene Pio XII sia stato - e io concordo - criticato per il suo atteggiamento verso il nazismo.

Con il Concilio Vaticano II (1962-1965), la Chiesa ha ribadito la condanna della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco hanno più volte parlato contro la guerra, promuovendo il dialogo e la diplomazia. Papa Francesco ha definito la guerra “una sconfitta per l’umanità” e ha criticato l’industria delle armi.

E di recente così ha scritto al Corriere della Sera: ”In questi momenti di malattia la guerra appare ancora più assurda. La fragilità umana, infatti, ha il potere di renderci più lucidi rispetto a ciò che dura e a ciò che passa, a ciò che fa vivere e a ciò che uccide. Forse per questo tendiamo così spesso a negare i limiti e a sfuggire le persone fragili e ferite: hanno il potere di mettere in discussione la direzione che abbiamo scelto, come singoli e come comunità.

Dobbiamo - prosegue il Papa - disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra. C’è un grande bisogno di riflessione, di pacatezza, di senso della complessità. Mentre la guerra non fa che devastare le comunità e l’ambiente, senza offrire soluzioni ai conflitti, la diplomazia e le organizzazioni internazionali hanno bisogno di nuova linfa e credibilità. Le religioni, inoltre, possono attingere alle spiritualità dei popoli per riaccendere il desiderio della fratellanza e della giustizia, la speranza della pace. Tutto questo chiede impegno, lavoro, silenzio, parole".

Giusti messaggi evangelici che si scontrano purtroppo con la realtà della politica internazionale che oggi obbliga, ad esempio l’Europa, a scelte difensive che non lasciano spazi. Il resto è retorica.