Lo dico da una vita che il peggio del peggio è quello di passare il tempo a guardare nello specchietto retrovisore e non di fronte a sé.
Ogni tanto, tuttavia, guardare al passato può essere utile e, per caso, è periodo di compleanni.
Giorni fa, RAI3 ha compiuto 45 anni e tocca tornare ad allora quando ero, come età, a pochi giorni dai miei 21 anni. Ricordo quel 15 dicembre del 1979, giorno in cui partirono le trasmissioni regionali e ci si illudeva che sarebbe nata una vera rete tv interamente su base locale.
Eravamo un gruppo di giovani giornalisti quasi tutti in erba (Massimo Boccarella, Dario Cresto Dina, Beatrice Mosca ed altri ancora) aspettavano l'ora canonica di quel primo Telegiornale regionale della sede RAI seduti nella regia della televisione privata valdostana che allora era sulla cresta dell'onda, RTA - RadioTeleAosta, situata in cima al "Palazzo Fiat". Comparve sul video Daniele Amedeo - allora voce conosciuta della "Voix de La Vallée", gazzettino regionale - di cui in molti non conoscevano il volto ed fu per noi - io c'ero! - un sospiro di sollievo, che diventò placida tranquillità alla fine del Tg del servizio pubblico. L'insieme ci era parsa poca cosa ed eravamo pronti a reggere il confronto.
Naturalmente non ci avevamo per nulla preso ed il Telegiornale regionale prospera ancora oggi, mentre le televisioni private via etere in Valle d'Aosta sono pressoché scomparse. Per altro - e per quel che mi riguarda - solo due mesi dopo quella serata mi trovai felicemente dall'altra parte della barricata, diventando conduttore del Telegiornale della RAI. Un evento del tutto imprevisto, che fu frutto del Destino: venni licenziato da RTA proprio qualche ora dopo aver visto il primo Tg dell'emittente pubblica. Avevo dato fastidio con qualche mio servizio pepato e la mia testa era stata chiesta da politici locali, che l'avevano facilmente ottenuta dal proprietario di RTA, l'imprenditore Giuliano Follioley.
Ed invece, con una capriola fortunata, ventenne ero riuscito a diventare praticante in Rai grazie alla stima del Caporedattore dell'epoca, Mario Pogliotti, cui dedicherò questo doveroso ricordo, ma senza dimenticare l'allora Direttore di Sede, Roberto Costa, grande giornalista lombardo, che ci fece anche lui da chioccia con il suo tono burbero e l'eterna sigaretta. Ma il mio mentore fu Pogliotti, che mi testò in poche settimane come collaboratore esterno e poi mi aiutò ad entrare, dopo che il prescelto per l'assunzione era Armido Chiattone, purtroppo scomparso tempo fa, esponente democristiano che rifiutò per via dello stipendio troppo basso rispetto a quanto guadagnava come assicuratore! Per cui, alla fine, fu fatta una scelta - come dire? - professionale, contando - immagino, sulla mia passione.
Piccolo di statura, voce pastosa, occhi azzurri come il cielo, Mario aveva scelto lui - dopo una lunga carriera d'inviato cominciata a Torino e continuata a Roma - di andare ad Aosta, cercando in sostanza un "buen retiro" e questo per noi della Redazione fu una fortuna. Era un Capo per nulla asfissiante, divertito dalle mattane di noi più giovani, trasmettendoci la sua umanità e la sua ironia irresistibile, che era forgiata in uno strano miscuglio fra spessore professionale e una vena artistica di musicista, compositore e autore che scoprì molti talenti e innovò anche quel genere italiano chiamato "varietà". Anche se in sostanza - a dimostrazione della sua poliedricità - restava un uomo del dopoguerra con quell'esperienza impegnata di una canzone "alternativa" dei "Cantacronaca" che, come diceva Umberto Eco: “Se non ci fossero stati i Cantacronache la storia della canzone italiana sarebbe stata diversa”. Coltivava quella passione del jazz che ci trasmetteva con qualche piccolo spettacolo in redazione con una voce alla Louis Amstrong.
Mentre la macchina della Radio, nata per la Valle agli inizi degli anni Sessanta e trasferita alla fine da Torino ad Aosta nel 1968, era ben oliata, a Mario toccò far partire la Televisione e quel Telegiornale che divenne, com'è ancora, un appuntamento immancabile per i valdostani. Si fidava dei suoi redattori, dava consigli più che sgridate quando sbagliavamo, aveva in mente un modello di giornalismo efficace e indipendente che ci trasmetteva. Era attento a quella necessità di avere in Valle d'Aosta una compresenza di italiano, francese e anche del patois francoprovenzale.
Quando lasciai la RAI per una lunga esperienza politica - e lui, che mi sostenne nella scelta. aveva lasciato per andare in pensione - rimpiansi questo uomo affettuoso. Era stata per me quell’esperienza una straordinaria palestra, perché furono anni con grandi soddisfazioni professionali con la conduzione del telegiornale e tanti servizi radio e televisivi per il nazionale. Pensavo prima dell’inaspettata elezione a deputato che quello sarebbe stato il mio lavoro esclusivo, ma poi - altra storia - entrai inaspettatamente in politica, e per 22 anni sono stato in aspettativa.
Quando tornai in RAI, fra il 2009 e il 2020, trovai - pur essendo diventato Responsabile della Struttura Programmi, cui penso di aver dato una buona spinta - un clima diverso da quello dei miei vent’anni: diversa la RAI, diversi i dirigenti. Di quel periodo non ho rimpianti, se non per molti colleghi e tanti collaboratori.