Ogni mattina, anche se sarà infantile e non da ultrasessantenni, ci salutiamo sul gruppo Whatsapp e annotiamo qualche pensiero, ci scambiamo foto di viaggio o guardiamo le belle foto naturalistiche di Antonio, che poi in realtà fa il dentista.
Siamo la III B del liceo classico Carlo Botta di Ivrea. Abbiamo con sgomento provato il dolore della perdita di due compagni, Anna e Paolo. Anna, carattere bizzarro e intelligenza acuta, ci ha lasciati d’improvviso. Paolo, l’amico più caro della classe e mente brillante, oltreché dotato di un inimitabile umorismo, ha combattuto per anni un tumore maledetto, per poi capitolare.
Considero questo gruppo, con cui ci si vede con periodicità, un mélange impagabile di caratteri e attorno ad un tavolo siamo in realtà seduti in classe nel rispettivo banco, a dispetto della Maturità del 1978, che ci aveva separati dalla quotidianità, ciascuno con la propria vita.
L’altro giorno Nic (soprannome), una delle punte di diamante della classe per i suoi risultati scolastici, ma che nasconde dietro all’aspetto compassato un cuore d’oro e un humor anglosassone, ha messo sul gruppo un articolo con un commento: “Bisognerebbe andare a scuola con la testa del sessantenne, perché da ragazzi (con tutt'altro per la testa...) non si apprezzano certe cose. E viceversa, vivere i sessant'anni con l'energia del diciottenne”.
Vorrei pubblicare questo scritto e poi vi dirò chi lo ha scritto: ”Lo sapevate che… nel greco antico c’era una cosa che pochissimi conoscono ma che racchiude un messaggio straordinario: l’aoristo! L’aoristo non è né il presente né il passato ma indica qualcosa di più prezioso, di più raro: un momento, un’azione che si tende verso l’infinito. Che diventa «per sempre». Aoristo significa letteralmente «senza limiti», senza fine.
Ecco, vi ricordate il famoso «conosci te stesso» di Socrate? Chi non conosce il greco, però, non sa che questa esortazione è costruita con l’imperativo aoristo. Perché? Perché mentre certe azioni sono destinate a finire, altre invece no. Non smettiamo mai di conoscere noi stessi, ecco cosa volevano dirci gli antichi greci. «Ci sono uomini che sanno tutto, peccato che questo è tutto quello che sanno.» La conoscenza invece è imparare qualcosa ogni giorno. Non importa quanto sai o quanto credi di sapere, da qualche parte c’è qualcosa di incredibile che attende di essere conosciuto.
Lo stesso vale per crescere, per imparare, per diventare. Per amare. Non smettiamo mai di amare. Ecco, un giorno una mia alunna mi chiese: a che scopo studiare il greco antico? Ma vedete in questa lingua ci sono delle cose, come l’aoristo, che ci ricordano qualcosa che noi abbiamo perduto: l’eternità. L’aoristo è il modo verbale di chi non si accontenta dell’orizzonte ma cerca l’infinito.
Ma questa forma verbale indica anche qualcos’altro, di altrettanto prezioso: il «qui ed ora.». Nell’aoristo non c’è né un prima né un dopo ma solo l’adesso! Che si protrae all’infinito. Ecco perché Omero usa l’aoristo per descrivere il commovente addio tra Ettore e Andromaca. Perché quel momento è tanto intenso e l’amore che li unisce è tanto forte che trascende il tempo, che vince il tempo fino a diventare eterno. Vedete, i greci quando usavano l’aoristo volevano dirvi una cosa: io non vivo né nel mio passato, né nel mio futuro. Ma nell’adesso. Perché anche il «per sempre è fatto di tanti adesso!»”.
Lo ha scritto Guendalina Middei, alias Professor X sui Social, è nata a Roma nel 1992. Fin da adolescente coltiva la sua grande passione per la letteratura e la cultura classica. Dopo aver conseguito la laurea in Lettere e un master in Giornalismo culturale, si è dedicata all’insegnamento nei licei e alla scrittura con libri molto apprezzati.
A tutti i miei ex compagni di scuola è piaciuto molto questo suo approfondimento e nessuno in verità si ricordava bene di questo tempo verbale, che pure avevamo studiato. In fondo la nostra amicizia è come l’aoristo.