Vado per qualche ora in Polonia a discutere, in un quadro europeo, della sussidiarietà e dunque di federalismo. Chi è federalista ha tutte le ragioni per esprimere due delusioni.
La prima è tutta italiana: i federalisti italiani son da epoche antiche hanno perso. Del federalismo come chiave dell'unità italiana si parla alla fine del Settecento durante le Repubbliche napoleoniche (protagonista anche il valdostano Guillaume Cerise), poi arriva l'unità italiana senza federalismo e durante il corso di tutta l'Italia liberale si discute di rendere meno rude il centralismo con forme di regionalismo che non arrivano e i federalisti che predicano fra le due guerre mondiali vengono snobbati. Il fascismo ci mette una pietra sopra, mentre alla Costituente i federalisti perdono a favore dei regionalisti tiepidi. Una fiammella di federalismo resta nelle autonomie speciali, mentre il regionalismo ordinario arriva solo nel 1970. Quando nel 1992 presentai la "Costituzione per un'Italia federale" venni considerato un marziano. Poi la spinta leghista, una presa di coscienza sul tema anche della sinistra, la comparazione con il dibattito sul federalismo in Europa portò ad una riforma del regionalismo nel 2001 con legge costituzionale (io votai contro per la mancanza del principio pattizio dell'intesa sul nostro Statuto d'autonomia). Ormai la musica è cambiata e al momento di federalismo non si parla più in Italia e il vento centralista soffia.
La seconda delusione è europea: si sperava che l’uso del termine federalismo, spesso evocato a Bruxelles, coincidesse infine con una vera riforma costituzionale della costruzione europea, che mettesse ordine nei diversi livelli di governo e invece si è rimasti sospesi in uno status quo, che continua a valorizzare lo Stato nazionale come centro dell’ aggregazione comunitaria. La cartina di tornasole è stato il silenzio tombale di Bruxelles sulla questione catalana e l’idea che l’autodeterminazione dei popoli non agisca sul Vecchio Continente. Il rischio di un centralismo europeo sommato a quello dei singoli Stati sarebbe una evidente contraddizione rispetto al ruolo della democrazia di prossimità, più vicina ai cittadini.
Ma esiste anche una questione valdo-valdostana che c’entra con le premesse. Da autonomista quale sono, credo che il termine "Autonomismo" non basti più anche nella discussione politica locale. Un tempo appannaggio dell'Union Valdôtaine e dei movimenti gemmati negli anni e oggi riuniti alla casa madre, il termine - per ragioni elettoralistiche - è stato e viene adoperato anche oggi come il prezzemolo. Nella convinzione troppo spesso che serva appunto come bacchetta magica per incantare l'elettorato. La parola ha finito, dunque, dunque per essere abusata o declinata senza averne esatta consapevolezza.
Peccato, perché "Autonomia" viene dal greco "autónomos, che si regola con leggi proprie". Ora, però, per operare un giusto distinguo in un’area autonomista troppo affollata, è bene riportare in auge con tutta la sua dignità il "federalismo". So bene quanto all'interno di questa espressione ci siano tante e diverse sfaccettature: esempi buoni e pratiche cattive. Ci sono sistemi federali funzionanti e altri di facciata. Per noi valdostani l'esempio della Svizzera resta non solo quello di prossimità e dunque più vicino, ma anche quello più adatto ad una dimensione alpina. Perché lì meglio si esprime la sussidiarietà, cioè la Confederazione interviene sul Cantone ed il Cantone sul Comune solo se ce n'è necessità e su richiesta.
Ma, tornando da capo, alla parola “federalismo” per darne piena dignità bisogna aggiungere "sussidiarietà". Termine che deriva - tanto per essere completi - dal latino "subsidium", ovvero designava l'ordine militare dei triari, cioè delle truppe di rinforzo che intervenivano in battaglia solo se necessario. Interessante ricordare il significato: un'autorità di livello superiore si sostituisce ad una di livello inferiore solo quando quest'ultima non sia in grado di compiere gli atti di sua competenza.
La sussidiarietà ha due modalità di espressione: verticale e orizzontale.
La sussidiarietà verticale, già evocata, si esplica nell’ambito di distribuzione di competenze amministrative tra diversi livelli di governo territoriali.
La sussidiarietà orizzontale si svolge nell’ambito del rapporto tra autorità e libertà e si basa sul presupposto secondo cui alla cura dei bisogni collettivi e alle attività di interesse generale provvedono direttamente i privati cittadini (sia come singoli, sia come associati) e i pubblici poteri intervengono in funzione ‘sussidiaria’.
Di questo parlerò, aggiungendo elementi ideali non solo di meccanica istituzionale.