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10 ott 2024

Fra identità e federalismo

di Luciano Caveri

Se essere valdostani volesse dire pensare di bastarsi, di contemplare il proprio ombelico con autocompiacimento, crogiolandosi in un nazionalismo giacobino, allora risponderò sempre: no, grazie!

Il senso identitario, la fierezza delle proprie radici e il desiderio di avere una forma di autogoverno adatto ai tempi sono sentimenti giusti e condivisibili, ma vanno inseriti nei rapporti con gli altri. Chiudersi in sé stessi non ha mai fatto parte del mio modo di essere.

Così, in una chiave di apertura, ho sempre concepito la mia idea di politica. Sapere bene chi siamo, migliorando il migliorabile, perché il confronto con l’esterno è necessario per rinvigorire la nostra autonomia e conoscere realtà nuove con cui misurarci.

Ci pensavo in queste ore con la soddisfazione di essere stato confermato - di nuovo come titolare e non più come supplente - al Comitato europeo delle Regioni, che compie trent’anni. Di questi ben 14 li ho vissuti personalmente nel mio ruolo di membro valdostano di questa Assemblea. Questo è avvenuto in due periodi: 2003 -2013 e 2020-2024.

Quando iniziai, ero ancora sotto la positiva influenza delle mie precedenti esperienze. Già da deputato a Montecitorio avevo capito che essere una monade - il deputato valdostano nello spazio… - si sarebbe rilevato inutile e bisognava trovare dei collanti.

Uno di questi, come poi in Europa al Parlamento europeo, era il regionalismo in senso generale e con attenzione alle Speciali, oltre a due cavalli di battaglia come la montagna e il ruolo delle minoranze linguistiche. Certo in modo non esclusivo, perché sono tanti gli argomenti giocoforza che vanno affrontati.

Ma il Comitato delle Regioni, che raccoglie anche eletti di Comuni e altre istituzioni locali, è davvero la palestra della politica di prossimità, dove mischiare temi alti con l’attenzione minuta anche ai temi del territorio e della democrazia più vicina al cittadino. E, anche in certe trasferte europee, a diverso titolo, mi sono sempre accorto di come il confronto e le buone pratiche (come si dice in gergo europeo) sono facilmente ricopiabili o adattabili.

Sarà pur vero che questo Comitato può solo esprimere pareri, che finiscono spesso per essere disattesi, ma conoscersi reciprocamente aiuta a capire come esista uno spirito europeo, un idem sentire che sostanzia le istituzioni più di quanto si possa credere.

Purtroppo siamo in una strana epoca rispetto al regionalismo. In Italia non esiste alcun dubbio sul fatto che il Governo Meloni abbia atteggiamenti centralisti e potrei moltiplicare i casi che lo dimostrano. Purtroppo anche in Europa - si pensi ai primi documenti sulla politica di coesione del futuro - si registrano inquietanti atteggiamenti di centralismo europeo in combutta con gli Stati e purtroppo questo emerge anche dal famoso documento scritto da Mario Draghi. L’ex premier non conosce per nulla - immagino per sua formazione - il ruolo e la necessità del regionalismo e della democrazia locale nella sua interezza. Lo scrivo con grande dispiacere.

Per onestà va aggiunto che c’è poco da stare allegri anche a Sinistra, dove sembra emergere un atteggiamento giacobino centralista in totale controtendenza con il passato più recente. Lo si vede da moltissimi segnali e la stessa Elly Schlein, che pure è stata vicepresidente dell’Emilia-Romagna, si esprime spesso in modo balbettante sul futuro del regionalismo e si è infognata in una polemica sull’autonomia differenziata al posto di modificarne i contenuti.

In questo quadro, mai come ora, in Europa come in Italia, si deve riprendere il confronto e tessere alleanze. Questo vale a maggior ragione per chi continua a credere, come chi vi scrive, che il futuro per l’Unione e per gli Stati debba essere il federalismo, anche se tutto oggi si esprime esattamente al contrario.

Ma non bisogna mai mollare le cause che si considerano giuste.