Manca ormai un annetto alle elezioni regionali in Valle d’Aosta e naturalmente cresce un qual certo nervosismo, perché le forze politiche sono percorse dai consueti brividi e questo vale anche per le persone che sono in Consiglio Valle e per quelle che vorrebbero andarci.
Resta la considerazione di Luigi Einaudi: ”Il suffragio popolare è un mito e su ciò credo che potremo essere tutti d’accordo; ma è un mito necessario ed il migliore che finora sia stato inventato”.
Personalmente vorrei segnalare che cosa possa rappresentare questo anno per me.
Pochi giorni fa si è ricordato il 79esimo anniversario dalla nascita dell’Union Valdôtaine: si è fatto bene a farlo perché questo consente di spalmare momenti di riflessione da qui al prossimo anno, sapendo che l’Ottantesimo sarà comunque oscurato dalla follia della par condicio, che finirà per zittire quel giorno.
Mi riferisco al 13 settembre del 1945, quando l’UV venne fondato da sedici persone, che qui vorrei citare una ad una: Flavien Arbaney, geometra, Aimé Berthet, insegnante, Louis Berton, dottore in legge, Robert Berton, insegnante, Amédée Berthod, pittore, Lino Binel, ingegnere, Joseph Bréan, canonico di Sant'Orso, Charles Bovard, canonico di Sant'Orso, Séverin Caveri, avvocato, Albert Deffeyes, insegnante, Paolo Alfonso Farinet, dottore in legge, Joseph Lamastra, veterinario, Félix Ollietti, notaio, Ernest Page, avvocato, Jean-Joconde Stévenin, canonico di Sant'Orso, Maria Ida Viglino, insegnante.
Chiunque conosca la storia valdostana sa bene dela ricchezza umana e dello spessore culturale di queste persone che misero un seme che si è trasformato in pianta. Si erano riunite a caldo dopo gli esiti derivanti dall’emanazione dei decreti luogotenenziali, che sancivano la prima forma di autonomia del secondo dopoguerra.
Lo facevano, in realtà, perché insoddisfatti dell'esito intermedio - cioè prima dello Statuto speciale - della lunga lotta antifascista. Si pensava a un’autonomia più spinta. Segnalo come alcuni degli esponenti dell'Union Valdôtaine dell'atto fondativo lasceranno il Mouvement, aderendo ad esempio alla Democrazia Cristiana ed al Partito Comunista. Altri, come mio zio Séverin, che sarà leader del "Movimento" e protagonista della politica locale, sceglieranno la strada di un suo rafforzamento per farlo sopravvivere. Ha scritto e condivido, Claudio Magnabosco, tra i pochi ad avere trattato l'argomento in profondità: “L'Union Valdôtaine nacque stando nei limiti della democrazia possibile a quei tempi ed in quel contesto, l'Italia, e, pur preconizzando la conquista - nel futuro - delle più ampie libertà, sposò la proposta autonomista, facendo del progetto federalista un mito ed un'ideologia. Gli uomini dell'Union Valdôtaine erano convinti che la ricostruzione socio-economica della Valle d'Aosta fosse possibile solo se i valdostani potevano iniziare immediatamente ad autogovernarsi: per questo accettarono le pur ridotte forme di autonomia previste dai Decreti e, poi, dalla Statuto. Non si può dimenticare che il movimento dell'Union Valdôtaine nacque fece propri tutti i principi espressi nella "dichiarazione di Chivasso" nel 1943 che preconizzava la trasformazione dello Stato italiano in Stato federale“.
Oggi resta questa necessità di riflettere su quel che è stato, attraverso le sue vicissitudini di alti e bassi con leader diversi e generazioni di militanti, come insegnamento. Molte questioni restano centrali: il rapporto con l’Europa e con l’Italia e quale modello per la Valle d’Aosta di domani.
Celebrazioni, ricordi e riconoscimenti restano preziosi, ma gli anniversari per servire devono essere nuovo lievito per guardare avanti.
Lo ricordava in un suo contributo, in occasione del cinquantesimo, il Presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga
in un libro scritto dal collega Antonio Mannello: ”Tra gli obiettivi dichiarati dell'Union Valdôtaine figura la conquista per via democratica della sovranità politica della Valle d'Aosta e l'aspirazione all'autogoverno del territorio, nel quadro di un'Europa unita dei popoli. Contributi significativi in tal senso sono arrivati dal pensiero e dall'opera del martire Émile Chanoux, padre delle Piccole Patrie, e da Severino Caveri, uomo di spicco e tra i fondatori dell’UV. Antesignana tra i movimenti federalisti, l'Union ha individuato prima di molti altri nella riforma dello Stato italiano in Repubblica federale un passaggio obbligato. La sua ricetta per ridisegnare gli assetti statali in chiave federale è datata 1991. Ma il federalismo che l'UV immagina e propugna è diverso e altro da quello proposto con enfasi in Italia con le attuali riforme, indicate non a caso come "falsamente federali" e pertanto respinte. Nei prossimi anni la sfida che attende l'UV sarà quella di mantenere e valorizzare quel patrimonio di consensi che la maggioranza degli elettori le ha tributato. E di saper insieme coniugare tradizione e modernità, esaltando l'impronta di un territorio, com'è quello valdostano, vocato a crocevia d'Europa, ma costretto a fare i conti con la dimensione della montagna e dei suoi naturali confini: una dimensione ancora poco valorizzata e inadeguatamente sostenuta, sia sul piano interno che su quello internazionale. Nel futuro prossimo, in altri termini, l'Union Valdôtaine sarà chiamata non solo a fronteggiare le insidie della società globale ma anche a cogliere le opportunità offerte dalla localizzazione”.