Il più piccolo dei miei figli, Alexis, sta facendo gli esami di Terza media. Confesso di non avere particolari ricordi di quel passato, che nel caso della mia generazione non era neppure il primo esame della vita scolastica, essendocene uno in seconda elementare e poi in quinta.
Mi pare, unico barlume, che presentai, allora tredicenne, una tesina o qualcosa del genere su Eugenio Montale e “Ossi di seppia”, una delle sue raccolte più famose. All’epoca scrivevo poesie, incoraggiato da zia Eugenia, professoressa di Lettere, che le trovava – bontà sua! – molto belle. Tranquillizzo quei due quaderni cui scrivevo cose adolescenziali li ho
perduti e con loro, per fortuna, quei miei componimenti. Alla vigilia della prima prova, dovendomi dare un tono, ho apostrofato l’esaminando con la nota citazione di Eduardo De Filippo: “Gli esami non finiscono mai”. Ripensandoci, pur non essendo lui in apparenza non troppo agitato dall’imminenza delle prove, gli ho scaricato una responsabilità in prospettiva che poteva evitare. Mi pare, però, che lui l’abbia presa con leggerezza, guardandomi solo con una vaga aria interrogativa. La storia della commedia da cui si trae il motto è presto detta. Si tratta dell’ultima commedia del celebre attore ed autore napoletano ed il suo successo è testimoniato proprio dal fatto che il titolo è diventato proverbiale. Divisa in un prologo e tre atti (in ognuno dei quali il protagonista indossa tre barbe diverse, nera, grigia e bianca, a simboleggiare le differenti età della sua vita), fu scritta nel 1973 e in verità manifesta un certo pessimismo, pur fra una battuta e l’altra. Il protagonista, Guglielmo Speranza, ottiene finalmente la sua sospirata laurea, ed esulta, pensando: “Ragazzi, sono finiti gli esami! Non dovrò più dare esami!”. Il primo dei bagni freddi della sua vita è quando corre, dopo aver ottenuto il “pezzo di carta”, dal papà della fidanzata per chiedere la mano della figlia e lui gelido: “Sappiate che la vostra posizione sarà da noi guardata al microscopio […] Voi in fondo, laureandovi, non avete fatto altro che impiantare una regolare contabilità con tanto di libro mastro, nel quale gli altri, non voi, si prenderanno la briga di segnare le entrate e le uscite”.
Ammonimento di valore universale, se penso – come credo tutti noi possiamo fare – agli altri esami della vita. I miei sono stati tanti: la Maturità, poi l’esame da giornalista, quelli universitari e le forche caudine di tante elezioni, che sono esami veri e propri nelle mani degli elettori. Per non dire di quelli susseguenti, quando si aspira ad altre cariche in campo politico e si è nelle mani altrui. Poi ci sono altri esami che passano dai rapporti di coppia, gli esami medici di fronte alle malattie e pure gli esami di coscienza, quando si trattano i bilanci più vari sui propri comportamenti.
Sono arrivato con l’età a pensarla esattamente come Charlie Chaplin: “Preoccupati più della tua coscienza che della reputazione. Perché la tua coscienza è quello che tu sei, la tua reputazione è ciò che gli altri pensano di te. E quello che gli altri pensano di te è problema loro”.
Non sono stato molte volte esaminatore. Mi è capitata una breve esperienza nell’insegnamento universitario in cui dovevo dare un pezzo di voto sul mio corso. E talvolta, di fronte a certi studenti, mi veniva in mente quanto scriveva Albert Einstein: “Se si giudica un pesce dalla sua capacità di arrampicarsi sugli alberi, passerà la vita a credere di essere stupido”.
Quindi non è solo una questione di esami, ma quella di centrare le vocazioni che si hanno dentro, laddove si può esprime il meglio. La questione dell’orientamento non è solo una capacità di esaminare, nei passaggi scolastici, i singoli studenti, indicando loro la strada. Bisognerebbe anche essere capaci a stimolare le singole persone, scavando nelle speranze e nelle ambizioni per non sbagliare il colpo e di conseguenza finiscano in gabbie che condizionino una vita. Troppo spesso ho visto genitori dirigisti che non hanno assecondato le aspirazioni dei figli, ma li hanno compressi nelle loro ambizioni e questo nuoce profondamente.